I Giochi pazzi dell'Italia: grandi sorprese e certezze svanite

di Marco Ciriello
Mercoledì 4 Agosto 2021, 00:03 - Ultimo agg. 06:00
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Una Olimpiade anomala, tra acuti e stecche, sorprese e delusioni, che oscilla tra il «Vinceròòò» che poi si perde e «Ma il mio mistero è chiuso in me», almeno lo era fino al traguardo, una volta oro non ci si può più nascondere. Giacomo Puccini ci canta ancora, siamo i vecchi italiani, oppure no? Siam sempre i soliti che fanno bene quello che non ti aspetti, e male quello che tutti sono convinti che sappiamo fare. Santi – pochini –, poeti – senza grammatica –, navigatori – dopo aver affondato una nave? –, insomma: siamo sprinter, adesso, velisti, saltatori, domani chissà.

Le Olimpiadi sismografo di un paese da tre carte, che gioca, sparisce, riappare e sorprende. Dove prima eravamo pugili e schermidori, ora siamo taekwondisti e sollevatori di pesi, dove ci aspettavamo la nuova generazione di tennisti arriva quella dell’atletica, i ciclisti vanno male su strada e poi fanno record del mondo su pista, in una imprevedibilità che diventa shock emozionale, formula vincente, ma mai sistema. Qualcuno evocherà la nostra elasticità, la nostra capacità di adattamento – soprattutto all’estero diamo il meglio di noi, trasformandoci – che diventa immagine carismatica, come i vigliacchi Vittorio Gassman e Alberto Sordi de “La grande guerra” monicelliana, che si fanno eroi quando serve davvero: «Mi te disi propi un bel nient! Hai capito? Facia de merda!».

Siam pronti alla morte. E vai con Mameli. Abbiamo cominciato con il calcio, a sorprendere e sorprenderci, vincendo l’Europeo, per poi toccare l’apice con i cento metri e la vittoria di Marcell Jacobs, impensabile come la costruzione di un condominio sulla Luna. E prima Tamberi che salta dopo aver tanto tribolato, ecco una costante: l’italiano deve tribolare, poi magari ride come insegna Giorgio Chiellini – divenuto stile di vita per i tedeschi e tramutato in parola: Chiellinigkeit –, ma sempre soffre, prima di sorprendere, e dietro c’è una mamma da evocare o far chiamare da Siri come Federico Chiesa dopo aver vinto a Wembley. È come se l’Italia fosse sempre in rivolgimento, posseduta da un’utopia sovvertitrice che va da Matteo Renzi a Vito Dell’Aquila – con alterne fortune – alla ricerca di stupore, cambi, riforme, salti, corse.

La sua voce è sempre un ventaglio di opportunità, risposte, funzioni. Non è mai dove l’aspetti.

Delude, esalta, pareggia i conti, poi riperde, e quando sembra sconfitta riemerge. Le Olimpiadi sono un laboratorio di caratteri umani prima che la più vasta scelta di tutti gli sport del mondo, e seguendole si può guardare il sovvertimento delle previsioni con l’uscita della parte più bizzarra, eccentrica, marginale, qualche volta sgangherata del nostro paese. Ci arrangiamo dove non dovremmo, riuscendo; e quando ci ricoprono di soldi – come nella scherma – finisce che ci mettiamo a sedere, deludendo le aspettative. Non stiamo denigrando i quarti posti, sarebbe troppo da italiani, stiamo ricercando un modo di stare in pedana, pista, campo, vasca, strada e al mondo, all’interno della sua più grande manifestazione sportiva. Abbiamo superato Rio 2016 e Londra 2012, come numero di medaglie, mescolando gli sport, invertendo gli atleti, tornando alla medaglia della ginnastica artistica e nella vela, scoprendo il tetto del mondo della velocità, saltando più in alto di tutti, e smarrendoci in vasca – rispetto alle previsioni –, ci siamo aggrappati ai bronzi, l’ultimo gradino prima dell’anonimato dei media, dopo esserci aggrappati ai balconi.

Appaiono finalmente dei nuovi italiani – da Jorginho a Jacobs passando per Paola Egonu – che vanno oltre la poca fantasia salviniana, si congedano grandissimi atleti come Federica Pellegrini, Aldo Montano e Osmany Juantorena, resta nell’indecisione Vanessa Ferrari – vuole tentare Parigi 2024 –, e tutti conservano una caratteristica tipicamente italiana: l’essere dei “nonostante”. Il saper andare oltre le difficoltà di un paese che non sa farsi metodo e sistema, affidandosi agli slanci dei singoli – allenatori, atleti, federazioni – e conservando la sua funzione d’anomalia sportiva. L’incertezza come corpo, paese, bandiera: e va bene così, forse. 

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