Perché è giusto che Napoli intitoli la biblioteca a Croce

di Nico Pirozzi
Mercoledì 25 Gennaio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Nove anni fa, proprio dalle colonne del Mattino, mi chiedevo con quale spirito Napoli si apprestasse a celebrare la Giornata della Memoria, nonostante la presenza di una strada che da più di quarant’anni portava il nome del presidente del Tribunale della razza. Azzariti, o meglio sua eccellenza Gaetano Azzariti, già presidente della Corte costituzionale e, prim’ancora, presidente della più infamante delle istituzioni fasciste, è stato sfrattato dal Borgo Orefici nel giro di poco meno di due anni. Cedendo il nome della via a Luciana Pacifici, la più piccola dei martiri napoletani della Shoah.

Coloro che, invece, continuano ad oltraggiare la storia della città delle Quattro Giornate sono Vincenzo Tecchio (fascista della prima ora e gerarca della Rsi nella fase ultima del regime mussoliniano), il cui nome “occupa” da più di sessant’anni una delle piazze più belle di Napoli, e – soprattutto - Vittorio Emanuele III, il re che promulgò le leggi razziste, il cui nome compare non solo nell’intestazione della Biblioteca Nazionale di Napoli, la terza per importanza dei luoghi del sapere dell’Italia, ma anche nella stessa toponomastica della città.

Ebbene, cominciare a rimuovere il nome del sovrano Savoia non rappresenterebbe solo un tardivo atto di giustizia nei confronti delle vittime delle leggi razziste, ma anche un modo per incasellare nel giusto ordine i tasselli della storia. 

Un appello moralmente condiviso, qualche settimana fa, anche dal neo ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che riconoscendo le ragioni del “Comitato 9 gennaio” si disse disponibile a sostituire quel nome con quello di Benedetto Croce, come richiesto dai firmatari del documento-appello (l’Associazione Memoriæ–Museo della Shoah di Napoli, l’Aned, l’Associazione Progetto Memoria, la Comunità Ebraica di Napoli, la Federazione delle Associazioni Italia-Israele, la Fondazione Valenzi, il Sindacato Unitario Giornalisti Campania e l’Ucei, per ricordarli tutti).

Perché Benedetto Croce e non un altro illustre napoletano? La ragione è semplice.

Si riteneva che Croce, promotore e primo firmatario del Manifesto degli italiani antifascisti, la cui storia si è spesso sovrapposta a quella dell’istituzione di piazza del Plebiscito, fosse il nome più adatto da poter affiancare a quello della Biblioteca Nazionale.

Una proposta – quella di titolare la Biblioteca Nazionale a Benedetto Croce – che, per i più svariati motivi, non ha trovato l’accordo di una parte dell’intellighenzia della città. A questo confronto il “Comitato 9 gennaio” non intende sottrarsi, essendo il suo principale scopo quello di rimuovere il nome di Vittorio Emanuele III da una delle più prestigiose istituzioni culturali della città. 

La firma che, il 17 novembre 1938, Vittorio Emanuele III appose al Regio decreto-Legge numero 1728, contenente i provvedimenti per la difesa della razza italiana – vale la pena ricordare - si è dimostrata la più infamante delle misure di carattere legislativo e amministrativo volute dal fascismo. Infatti, quel decreto non segnò solo il destino dei soli 8.564 ebrei deportati dall’Italia e dai territori occupati dai nostri militari (sud della Francia e isole di Rodi e Kos), ma anche quello di decine di migliaia di nostri connazionali di religione o discendenza ebraica che, pur non avendo vissuto il dramma della deportazione e dell’internamento, per anni furono privati dei più elementari diritti. Questo senza dimenticare che, a colui che è stato uno dei protagonisti della più infelice delle stagioni del Novecento, vanno certamente addebitate anche le sofferenze patite da centinaia di migliaia di militari italiani abbandonati al loro infausto destino dopo l’8 settembre 1943.

Da quel 4 giugno 1925, quando, due anni prima di essere inaugurata, la Biblioteca Nazionale di Napoli fu intitolata a Vittorio Emanuele III, sono passati quasi cento anni. Anni che pesano come un macigno sulla storia del Paese. 

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