Il rischio di inceppare ​la macchina del Recovery

di Giorgio La Malfa
Sabato 10 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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In un articolo del Mattino del 14 agosto scorso, all’indomani della decisione del Consiglio Europeo di varare il Next Generation EU, mentre il governo muoveva i primi passi per la preparazione del nostro piano nazionale, scrivevo che vi erano “due modelli possibili per la redazione del progetto italiano e poi per la realizzazione dei programmi finanziati su quel fondo.” 

Un primo possibile modello era sollecitare le amministrazioni pubbliche centrali e periferiche a presentare dei propri progetti. E poi raccogliere e valutare questi progetti sulla base degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea, assegnare alle amministrazioni i fondi relativi ai progetti approvati e sorvegliare che la esecuzione avvenisse tempestivamente e in linea con le richieste dell’Europa.

L’altro modello - scrivevo - «segue una logica completamente diversa». Affida integralmente il fondo europeo a un ente appositamente creato che, sulla base delle grandi direttive europee sulla destinazione dei fondi, progetti ed esegua gli investimenti. Bisognava scegliere per la guida di questo ente una personalità di rilievo italiano ed europeo e stabilire nel decreto istitutivo che l’ente avrebbe operato senza dover seguire le procedure amministrative consuete che generalmente comportano i tempi lentissimi che sono la piaga delle opere pubbliche italiane. Aggiungevo che era evidente che solo il secondo modello avrebbe potuto rispondere alle necessità e citavo il precedente della istituzione da parte del Governo de Gasperi della Cassa per il Mezzogiorno che aveva progettato ed eseguito i lavori negli anni 50. Concludevo che, prima di procedere, bisognava discutere a fondo, possibilmente coinvolgendo il Parlamento, su quale dei due modelli possibili fosse il migliore e il più adatto alla situazione e all’esperienza italiana nel campo della realizzazione delle opere degli investimenti pubblici.

Il Governo Conte non ritenne di dover affidare questa scelta a una discussione parlamentare, né vi fu alcuna forza politica, di maggioranza o di opposizione, che ritenne di associarsi alla proposta di un ente apposito per il piano italiano. Venne scelta la prima strada senza neppure riuscire a definire per tempo una cabina di regia che coordinasse la preparazione dei progetti ed è stato consegnato al Governo Draghi un semilavorato che - è stato detto da un esponente del Governo - non è di “qualità eccelsa”. Lo stesso ha detto ieri al Mattino l’on. Carfagna per i progetti meridionali di sua competenza. 

Il Governo Draghi, trovatosi a febbraio con un elaborato, in parte fatto e in parte malfatto, ha evidentemente ritenuto che, giunti a 90 giorni dalla data fissata dall’Europa per la consegna dei piani nazionali, non fosse possibile scegliere una strada diversa ed ha deciso di completare il progetto, modificando ove necessario quello che aveva ricevuto e definendo la struttura di guida che il precedente Governo non era riuscita a definire.

La struttura per la guida e il controllo del progetto delineata ieri dal presidente del Consiglio nel suo colloquio con gli enti regionali e locali ricalca per larghe linee quella delineata a dicembre dal governo Conte: prevede una sede politica di Governo per il coordinamento dell’intero progetto e una unità centrale di verifica e di controllo della realizzazione dei vari capitoli del progetto da parte delle molteplici “stazioni appaltanti” nazionali o locali cui verranno assegnati i fondi.

La struttura centrale dovrà controllare che nella esecuzione delle opere e nei tempi le stazioni appaltanti seguano i tempi fissati dall‘Europa senza i quali non giungerebbero i pagamenti successivi.

Non possiamo non prendere atto che le cose stanno così e augurarci che tutto vada per il meglio. Abbiamo solo due domande al responsabile ministeriale del progetto che non è chiaro se sia il Presidente del Consiglio o il ministro dell’Economia.

La prima è questa. Con tutta la buona volontà e il coordinamento centrale messo in essere, come si fa a escludere che, vista la molteplicità delle stazioni appaltanti, non si determinino in una o in un’altra o in una pluralità di esse delle difficoltà di attuazione dei progetti? Si tratta di strutture di cui si conosce la tradizionale incapacità di eseguire nei tempi richiesti le opere per le quali ricevono i finanziamenti. Come si può essere certi senza modifiche delle regole generali e specifiche che questo non torni a verificarsi anche oggi per i progetti del Next generation EU? È prevista la possibilità di esautorare chi accumula ritardi? E in quel caso a chi passa la responsabilità di eseguire i progetti? Qual è la base legale del potere sostitutivo nel caso in cui ad esempio sia una regione a risultare inadempiente?

La seconda domanda pone un problema ancora più complesso. Il Next generation EU non prevede soltanto che i piani nazionali contengano un elenco di progetti. Esso vuole che questi progetti siano parte di una riforma che la Commissione ritiene essere indispensabili per l’Italia: fra questi la riforma della giustizia e quella della pubblica amministrazione. Se vi fosse un ente responsabile della progettazione e della esecuzione delle opere, sarebbe anche relativamente semplice valutare se il piano prodotto risponde anche all’obiettivo riformatore posto dall’Europa. Avendo invece confermato la strada della molteplicità degli ideatori e dei realizzatori dei progetti, i gestori, come verrà assicurato il disegno complessivo di riforma?

Ci sia consentito di dire che abbiamo il sospetto e la preoccupazione che questo problema non sia stato ancora messo pienamente a fuoco neppure dall’attuale governo. E vorremmo essere riassicurati. 

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