«Ha visto la ruspa in azione
papà fulminato dall’infarto»

«Ha visto la ruspa in azione papà fulminato dall’infarto»
di Antonio Manzo Inviato
Lunedì 19 Giugno 2017, 23:16
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 Eboli. «Quando mio padre ha visto transennare la nostra modesta casa e sentito il rombo del motore della ruspa pronta a ghermire con la benna le pareti, è finito a terra. Un arresto cardiaco, inutile ogni soccorso. Ucciso dallo Stato, dalla burocrazia feroce e implacabile». La rabbia sopravanza il dolore quando Lucrezia Garofalo rientra a casa, a Campolongo di Eboli, dopo aver dato l’ultimo saluto al papà Salvatore, morto sabato mattina mentre veniva eseguita l’ordinanza di demolizione di una casa di poco più di cento metri quadrati, un solo piano.

«La casa è abusiva, va abbattuta», avevano sentenziato i giudici. Per la burocrazia è ancora tutto in itinere. Tutto si è concluso, invece, in una tragedia: Salvatore Garofalo, sessantaquattro anni, una vita di muratore, non ha retto alla vista di quei cartelli che annunciavano l’abbattimento della sua casa da parte di una impresa privata da lui stesso chiamata, per evitare l’onta di uno sgombero coatto e l’abbattimento a carico dello Stato. È intitolata all’ammiraglio Francesco Caracciolo, eroe della Rivoluzione napoletana del 1799, la stradina della litoranea di Eboli dove lo Stato ha mostrato il volto della legalità a qualunque costo e fino in fondo.

Viveva qui Salvatore Garofalo, trapiantato di rene e malato di cancro, fulminato da un infarto nel cuore della Piana del Sele, dove scorre la litoranea che da Salerno porta e Paestum, tra abbandono e rifiuti, spazzatura e prostitute, una pineta massacrata dall’incuria e dai piromani e la più lunga pista ciclabile d’Italia, costata miliardi e miliardi, miseramente finita tra i reperti italiani delle opere distrutte. La casa di Salvatore era finita in quel lunghissimo elenco di ordinanze di demolizione di case abusive che nel 1998 fu stilato dalla magistratura salernitana e che portò all’abbattimento storico di ben 437 ville, non casupole o baracche. «Portammo lo Stato ad Eboli» ricorda Gerardo Rosania, il sindaco degli abbattimenti. La casa di Salvatore non era una di quelle ville per vacanze costruite dove la camorra aveva «lottizzato», tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, un’area demaniale lunga otto chilometri proprio a ridosso della pineta e della spiaggia di Eboli.

A Eboli le ville abusive sul litorale furono abbattute, a Battipaglia no. «Codici» diversi a kilometro zero. Quella della camorra fu un’operazione «immobiliare» perfetta con la complicità di notai che trasferivano ai privati proprietà pubbliche «espropriate» dai clan della camorra, con l’allora Sip ed Enel pronte ad allacciare telefoni e energia elettrica nonostante gli abusi, valzer di sequestri e dissequestri con i codici dello Stato impotente se non connivente. Qui è ancora in piedi la villa del boss Pasquale Galasso, ora bene confiscato. In quegli anni, la camorra aveva trovato, sopratutto nell’area napoletana, clienti che volevano costruire case per le vacanze sul litorale ebolitano. La storia di Salvatore Garofalo è diversa. Lui era un muratore, non un camorrista.

Era un padre di famiglia, non uno di quei costruttori che hanno sfregiato e, continuano a sfregiare impunemente la piana del Sele. Salvatore sapeva, fin dal 1998, di essere un abusivo. Ricorsi e controricorsi per salvare la sua prima casa, fino all’ordine di demolizione, emesso nel 2008 e che solo il 23 maggio scorso viene tramutato in un ordine di sgombero coatto. La legge è legge. C’è anche la data: lo sgombero deve avvenire entro il 7 giugno. «Quattro giorni dopo quella intimazione - racconta l’avvocato Damiano Cardiello - chiesi la sospensione per la demolizione sostenendo il diritto all’abitazione del suo assistito, che altrimenti non avrebbe avuto altro posto dove andare a vivere e che, ammalato, viveva lì accudito dalla moglie e dal figlio con tre nipoti minorenni».

E poi, sostiene il legale, sarebbe stato buon senso attendere l’esito di una domanda di concessione in sanatoria presentata al Comune di Eboli oltre che la conclusione dell’iter parlamentare del recente «Ddl Falanga». Ma il 29 maggio, due giorni dopo, la richiesta dell’avvocato viene rigettata. Contestualmente, ne viene ripresentata un’altra simile, nella stessa giornata, ma subisce la stessa sorte il 6 giugno. Il giorno dopo si presentano, al domicilio di Salvatore, le forze dell’ordine per eseguire l’ordine di sgombero. A quel punto Salvatore e la sua famiglia scelgono la strada dell’autodemolizione: sarà la titolare dell’immobile (la moglie) a curare l’abbattimento.

«Non voleva evitare la demolizione ma, almeno, sospenderla» aggiunge il legale dei Garofalo.
Ieri mattina, l’ultimo saluto a Salvatore. Benedizione della salma e ultimo saluto in una chiesa a poche centinaia di metri da una rotatoria sulla Statale 18 che porta nel Cilento: è qui che troneggia un Cristo abusivo, fatto costruire da un boss della camorra, su un terreno della riforma agraria con tanto di piazza circostante. Il boss avrebbe sanato, al comune di Eboli, con cinquecento euro un mega-abuso edilizio commesso sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno lo fermasse. Bastava la stessa forza della Legge che ha fatto morire Salvatore Garofalo.
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