Il creatore di House of Cards: «Addio, Underwood: arriva Jones il ribelle»

Il creatore di House of Cards: «Addio, Underwood: arriva Jones il ribelle»
di Gabriele Santoro
Martedì 4 Dicembre 2018, 00:32 - Ultimo agg. 00:33
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Dopo il successo planetario come autore e poi sceneggiatore di House of Cards, dalla creatività e dalla conoscenza della politica di Michael Dobbs, classe 1948, membro del partito conservatore inglese e a lungo collaboratore di Margaret Thatcher, è nato un nuovo ciclo di thriller, che l’editore Fazi pubblica in Italia. Il giorno dei Lord (traduzione di Stefano Tummolini, 376 pagine, 16 euro) è il primo episodio con protagonista Harry Jones, che presto diventerà una serie televisiva. Jones non ha nulla del cinismo di Frank Underwood. La carriera nell’esercito britannico gli consente di aprire molte porte, nonostante il carattere tempestoso e ribelle. Nel thriller di Dobbs, ospite d’eccezione a Più libri più liberi (che parte domani, ma lui parlerà venerdì 7 alle 19), la cerimonia d’apertura del Parlamento britannico, che una volta all’anno riunisce le principali personalità del Regno a cominciare da Elisabetta II, è sconvolta da un attentato terroristico di matrice islamista.

Dobbs, come ha costruito il suo nuovo personaggio?
«Dopo House of Cards, gli spettatori mi dicevano: “Diffidiamo dei politici ed è anche colpa tua”. Ho speso molto tempo a descrivere il lato oscuro della politica. Poi ho trovato interessante, spero non solo per me, creare un personaggio totalmente diverso. Harry è un ex militare benestante. Nessuno può impartirgli ordini. Può perdere il ruolo nell’esercito, le elezioni e qualche ambizione, ma non l’indipendenza che lo eleva. Lotta contro avversità emotive e psicologiche. È animato dall’ossessione per il padre ed è pronto a disobbedire alle regole per ciò che ritiene sia giusto».
L’assalto terroristico ai luoghi cardine della democrazia britannica evoca la sua vulnerabilità. La forza della democrazia è sopravvalutata, usando le parole di Underwood? 
«No, credo sia forte. La democrazia e le istituzioni parlamentari hanno la flessibilità, che appare come una fragilità, ma la rende capace di sopravvivere agli shock e alle sfide. Negli ultimi cent’anni abbiamo assistito al collasso senza ritorno di sistemi irreggimentati come le dittature fasciste e lo stalinismo. La democrazia in una maniera talvolta strana e illogica procede, perché ha la flessibilità per resistere alla pressione e adattarsi agli eventi. In qualche modo è un sistema di governo incredibilmente frustrante. Ma la storia mostra che è ancora più forte e funzionale di qualsiasi altra alternativa».
A parte il glamour, qual è il senso della Corona nella società e perché giganteggia ancora la regina Elisabetta II?
«Dopo un ventennio, terribile per molte ragioni, la famiglia reale britannica ha saputo ammodernarsi. Elisabetta II, la monarca più longeva, è amata e rispettata profondamente. I nipoti hanno catturato e riempito nuovamente l’immaginario. Piacciono alle persone che s’identificano con loro e pensano siano un modello positivo. Negli ultimi quarant’anni la famiglia reale non ha mai occupato una posizione così centrale nella società. Il paese preferisce lo stile, il divertimento, il colore e soprattutto la stabilità della Corona ai politici e al presidente che eleggiamo ogni quattro anni».
Lei ha scritto una biografia di Churchill. L’ha aiutata a definire l’equilibrio tra coraggio e compromesso in politica?
«È una domanda interessante. Era un uomo, anche lui, aveva debolezze e ha commesso ogni sorta di errore. È diventato lo statista che conosciamo, perché ha saputo misurarsi con le proprie vulnerabilità intime. Era ossessivo e arcigno, si distingueva dagli altri fin dall’adolescenza. Rifiutava la resa. Churchill si dimostrò libero dall’influenza del proprio circolo, come dovrebbe essere un politico».
La prima edizione di House of Cards è uscita l’anno della caduta del Muro del Berlino. Che cosa è diventata la politica?
«La politica allora era animata dalle ideologie. Le persone lottavano per valori a lungo termine e per la trasformazione della società. Il dato fondamentale è che l’Occidente non è più alla guida del mondo. Non siamo più forti e rispettati come trent’anni fa. Non lo è la nostra cultura in decadenza. Dovremmo posare uno sguardo critico sui nostri errori, prima di suggerire al mondo di diventare come noi o imporci con esiti disastrosi come in Iraq, Afghanistan o Libia».
Lei preferisce non commentare l’estromissione dalla serie di Kevin Spacey. Ma le manca Frank Underwood?
«(Sorride, ndc). Ho la signora Underwood, che ha colmato il vuoto in modo straordinario. Provo un senso di tristezza, perché si conclude House of Cards. La sensazione negativa è alleviata dalla maniera forte in cui la serie esce di scena. Chissà, forse non sarà la fine e in futuro tornerà».
Netflix è cresciuta e si è affermata insieme a House of Cards. Come valuta l’impatto di questa realtà produttiva?
«La questione è interessante e complessa. Non possediamo il numero preciso di quante persone abbiano guardato House of Cards, ma sono milioni e in tutto il mondo. Il mercato di House of Cards è globale, includendo la Cina. Adesso il prodotto è disponibile sullo schermo quando e come vuoi. Questa è la novità fondamentale. Prima parlavo dell’importanza dei valori culturali del softpower, che arriva dove non può quello militare. L’impatto di queste produzioni televisive, la cui qualità sta crescendo, va ben oltre l’essere buon intrattenimento. Nasce un’audience globale, che condivide valori in un mondo sempre più conflittuale e politicamente frammentato. È un’età dell’oro per i telespettatori».
A proposito di scenari globali. La spinta isolazionistica della Brexit non crede sia la condanna definitiva all’irrilevanza?
«L’Unione Europea si è ripiegata su sé stessa e sembra ancora ferma al ventesimo secolo. La Brexit non equivale all’isolamento. Al contrario, intendiamo aprirci al resto del mondo, realizzando una Gran Bretagna di nuovo globale. L’Unione Europea rifiuta di cambiare sé stessa e occorreva agire, perché il mondo si trasforma velocemente. Nuovi mercati, idee e sfide provengono sempre meno dal Nord Europa».
Tra pochi giorni il Parlamento britannico è chiamato a esprimersi sulla bozza di accordo con la Ue sulla Brexit. Theresa May reggerà?
«Intravedo poche possibilità che il Parlamento lo approvi. Resterei molto sorpreso dall’eventuale sostegno al compromesso di May. Ritengo sia difficile per lei restare in carica, qualora una maggioranza decidesse di rigettare l’accordo».
La Gran Bretagna odierna è figlia di Margaret Thatcher?
«Negli anni Settanta eravamo spariti dallo scacchiere mondiale senza lasciare traccia. Il Paese era considerato l’ingovernabile malato d’Europa. Thatcher ha corso rischi per imprimere una svolta. Ma è costato moltissimo. Essere al suo fianco per molto tempo è stato un privilegio doloroso».

 
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