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I codici sulla strada delle riforme

di Angelo Piazza
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 5 Dicembre 2022, 23:52 - Ultimo agg. : 6 Dicembre, 06:00
4 Minuti di Lettura

Il riaccendersi del dibattito politico sul reato di abuso di ufficio, e la recente ordinanza del Tar Puglia che sospende lavori ferroviari finanziati con fondi del Pnrr. Due vicende diverse ma profondamente legate tra loro, perché fanno emergere ancora una volta i gravissimi ostacoli che nell’ordinamento italiano frenano l’efficienza della macchina pubblica. Mentre i termini perentori per la concessione dei finanziamenti del Piano di resilienza e ripresa avanzano spietati.

Le tante riforme negli anni hanno prodotto risultati parziali, ma non sono riuscite a sciogliere i nodi fondamentali che ancora impediscono al Paese di avere una pubblica amministrazione rapida, risoluta, ed efficace. Il decisore pubblico – di fronte a più possibili soluzioni ad un problema – è indotto troppo spesso a scegliere quella meno rischiosa per lui (evitando denunce e cause), anziché quella più utile nell’interesse generale. E d’altro canto procedure complesse, che portano a progetti essenziali per il Paese, vengono spesso azzerate con provvedimenti dei vari tribunali amministrativi. 

La combinazione di questi elementi ha conseguenze gravissime, che diventano letali quando i tempi contingentati e implacabili per la finalizzazione dei fondi Pnrr incombono in modo sempre più preoccupante.

Il reato di abuso di ufficio (articolo 323 del codice penale) è da sempre un famigerato nemico dei funzionari e amministratori pubblici: la assoluta genericità del testo originario, infatti, aveva consentito alle varie procure di avviare molti procedimenti, raramente conclusi con condanne. Ma è noto che l’avviso di garanzia o la iscrizione come indagato, sono purtroppo - sia pure in violazione di ogni principio costituzionale e ancor prima di ogni regola di civiltà - pene anticipate di fatto, soprattutto per chi ricopre ruoli pubblici.

La norma è stata oggetto di quattro riforme legislative: eppure la circostanza che ancora in questi giorni si discuta, tra i rappresentanti dei sindaci e amministratori locali e gli esponenti di governo, di una nuova riforma conferma la inadeguatezza degli interventi precedenti. Per quanto, infatti, si cerchi di rendere tipica e puntuale la condotta penalmente rilevante, gli spazi per le interpretazioni applicative sono ancora tali da generare grave incertezza, esattamente l’opposto di quanto gli interventi precedenti sulla norma si proponevano. Occorre evitare quindi una quinta riforma, e bisogna puntare solo ad una soluzione drastica: la norma va semplicemente abolita, perché l’interesse pubblico è ben tutelato da tutte le restanti norme sui reati contro la pubblica amministrazione, che poggiano su definizioni più precise della condotta illecita e degli eventi che fanno scattare la responsabilità.

La incertezza è infatti il primo ostacolo alla efficiente azione amministrativa, causa principe del fenomeno dello “sciopero della firma”, cioè del rallentamento dei processi decisionali pubblici causati dal timore del decisore per una propria responsabilità personale, a causa dei dubbi sulle conseguenze della propria attività. E occorre che governo e parlamento si armino di coraggio e aboliscano altre norme che generano confusione e incertezza per la loro genericità e indeterminatezza: come quella che ha introdotto il reato di traffico di influenze illecite (articolo 346 bis del codice penale), il cui confine con la attività relazionale lecita è assolutamente vago.

E ancora abroghino le diverse norme, che penalizzano amministratori e funzionari pubblici nella loro attività, per pronunce giudiziarie prima della definitività delle stesse, anticipando effetti che nel processo potrebbero poi essere ribaltati; e ciò mentre il danno si è già prodotto e spesso non è più eliminabile. Quanto infine alle incursioni dei vari Tar nelle procedure e nelle scelte delle amministrazioni, è anche questo un annoso tema mai definitivamente risolto, spesso in ragione del pur sacrosanto principio della tutela costituzionale dei diritti e interessi.

Ma le varie riforme, con strumenti acceleratori dei giudizi, o limitazioni agli interventi cautelari, non hanno risolto definitivamente il problema. La sentenza del Tar Puglia, che annullando la autorizzazione paesaggistica ha bloccato la realizzazione di una infrastruttura ferroviaria a Bari Sud (intervento essenziale nel pubblico interesse e soggetto alla tempistica stringente dei finanziamenti Pnrr), conferma che anche qui si impone una soluzione radicale: quando sono in gioco esigenze prioritarie del Paese o dei territori, o quando si rischia la perdita di finanziamenti irrecuperabili, e quindi in tutti gli interventi Pnrr, al giudice amministrativo va impedito ogni potere di sospendere o annullare gli atti della amministrazione, sia quelli direttamente relativi all’intervento, sia quelli presupposti o connessi, dalla cui efficacia dipende il progetto finanziato con i fondi europei. E concentrando la tutela dei terzi nel solo ambito del risarcimento del danno, da prevedere eventualmente a carico della amministrazione (e non dei decisori, per non ricadere nel circolo vizioso dei ritardi o scioperi della firma, salvo ovviamente il caso di dolo di amministratori o funzionari).

Di fonte a situazioni gravissime e di emergenza si impongono soluzioni radicali ed eccezionali: i fondi Pnrr sono una occasione straordinaria e irripetibile per modernizzare il Paese, e ogni ritardo o ostacolo può metterli irreparabilmente a rischio. La iniziativa spetta ora a governo, parlamento e forze politiche, sperando che il pragmatismo e la tutela dell’interesse generale prevalgano sugli schematismi ideologici e le battaglie di bandiera.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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