I miliardi tolti ai meridionali non sono fake news

di Marco Esposito
Mercoledì 9 Settembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 10 Settembre, 07:00
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Sud è il bimbo senza nido, il disabile non assistito, lo studente idoneo alla borsa di studio che non la riceve, il malato con la valigia. Fatti noti. Tuttavia, quando si denuncia che dietro i disservizi ci sono sì disfunzioni locali - e chi le nega - ma c’è soprattutto uno Stato che attribuisce le risorse con strabismo, si viene accusati di raccontare «favole». È accaduto, da ultimo, ad Adriano Giannola, colpevole di aver ricordato il 4 settembre in una intervista al Messaggero che al Sud sono sottratti «60 miliardi l’anno».

Il presidente della Svimez ha sottolineato che non sono mai partiti i due fondi perequativi previsti in attuazione della Costituzione «uno per le infrastrutture e uno per i diritti di cittadinanza». A Giannola ha replicato dopo quattro giorni il veneto Andrea Giovanardi, titolare di una cattedra di diritto tributario a Trento, in un articolo sul Foglio dal titolo: «La favola dei 60 miliardi di euro che ogni anno il Nord sottrae al Sud». Secondo Giovanardi, Giannola commette ben sei errori. È davvero così o è un modo per spargere fumo sul tema del riparto di risorse, di massima attualità in tempi di pianificazione del Recovery Fund? Entriamo nel merito, punto su punto, e scopriremo che la ragione non è tutta da una parte.

Primo presunto errore: il Centronord trasferisce al Sud 50 miliardi annui quindi non c’è alcun furto. Obiezione concettualmente errata perché non c’è alcun soggetto giuridico chiamato “Centronord” mentre ci sono contribuenti - cittadini e imprese - che versano le tasse in proporzione alle attività creando una cassa comune che lo Stato dovrebbe utilizzare per garantire i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. Si potrebbe obiettare che non tutti i contribuenti contribuiscono, cioè fanno fino in fondo il proprio dovere fiscale, ed è vero, ma la pressione tributaria è del 46,7% nel Centronord e del 47,8% nel Mezzogiorno. Quindi gli evasori si nascondono ovunque, ma vivono un po’ di più al Nord.

Secondo: la spesa pubblica non può essere uguale in tutti i territori perché il paese è articolato in aree talmente diverse da richiedere diversi livelli di spesa. Giusto, ma i parametri devono essere oggettivi (più bambini, più nidi) e non costruiti in modo ingannevole assegnando a Reggio Emilia dieci volte quanto tocca a Reggio Calabria.

Terzo: è sbagliato considerare nel calcolo la spesa previdenziale. E qui Giovanardi ha ragione, come sottolineato dal Mattino il 27 luglio, perché le pensioni sono una forma di reddito differito e lo Stato non può decidere a chi pagarle indipendentemente dai contributi versati. Non è una differenza da poco: scomputare la previdenza dimezza la cifra denunciata da Giannola, che diventa quindi 30 e non 60 miliardi. Ma resta una somma gigantesca, che anno dopo anno i cittadini del Sud si vedono sottrarre sotto forma di meno treni, meno tempo pieno a scuola, meno assistenza agli anziani, meno sanità e così via.

Quarto presunto errore: non si possono conteggiare nella spesa le imprese pubbliche perché tali aziende seguono logiche di mercato. Rilievo curioso: lo Stato è azionista delle Ferrovie, come di Anas o di Terna, proprio per evitare che la realizzazione di binari, strade o reti elettriche segua le mere logiche di mercato. Costruire l’alta velocità ferroviaria fino a Siviglia (stessa latitudine di Siracusa) come ha fatto la Spagna o solo fino a Salerno come ha fatto l’Italia è una scelta politica che nel primo caso unisce l’intera penisola iberica e nel secondo lascia fuori gran parte del Mezzogiorno.

Quinto: al Sud la vita costa meno quindi è corretto che la spesa pubblica pro capite sia inferiore. Informazione errata perché nel Mezzogiorno proprio la carenza di servizi pubblici costringe i residenti a pagarsi da soli beni che altrove sono disponibili gratis o a prezzi calmierati. Mantenere lo stesso tenore di vita al Sud non costa affatto meno, come ben sa chi ha bisogno trasporti locali dopo le 22 e deve andare a piedi o prendere un taxi, cioè utilizzare tempo o denaro.

Sesto e ultimo presunto errore: «la medesima quantità di spesa pubblica non garantisce in automatico servizi di analoga quantità e qualità». Una frase priva di riferimenti territoriali espliciti ma che dal contesto si può tradurre così: anche se dessimo al Sud i soldi che spettano, verrebbero sprecati. In Italia, purtroppo, ogni territorio ha il suo Mose, il suo scandalo sanitario, la sua tangentopoli per cui il richiamo all’efficienza è corretto se vale per tutti, altrimenti diventa la scusa buona per difendere gli attuali squilibri, sia pure pari a trenta miliardi di euro annui e non sessanta. Altro che favole! Quasi tutti argomenti di Giovanardi suonano come la più stupida delle frasi che si dicono ai bambini: «È così e basta».
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