I tre scenari Dem tra leadership e gattopardismo

di Mauro Calise
Lunedì 3 Ottobre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Il travaglio dei Democratici ha di fronte tre strade, tre modelli di partito in cui la loro storia si confronta con le tendenze dominanti nelle democrazie contemporanee. Il primo scenario è il gattopardo. Cambiare tutto, per non cambiare niente. Allestire un profluvio di propositi di azzeramento e reincarnazione, lasciando il compito di occuparsene alla solerzia dei soliti noti. Visto dall’esterno, l’autoaffondamento del Pd può evocare quello del Titanic, per il carico storico che porta inesorabilmente negli abissi.

Ma all’interno, suona ancora la musica del potere da spartirsi. Con gli orchestranti intenti a procurarsi il salvagente migliore. Non per cinismo, ma per professione.

I militanti e i votanti pensano alla fine di un’epoca, e a se e come rifondarne un’altra. Ma gli oligarchi dispongono ancora di un seggio sicuro in parlamento, e molti altri – per le proprie correnti – nei consigli di regioni e città. Certo, il fatto che la coperta si sia ristretta di parecchio sta scatenando una violenta lotta di successione. Agevolata dalla debolezza del segretario di transizione. Ma, almeno per il momento, il boccino dell’innovazione rimane saldamente in mano a coloro che l’hanno pervicacemente osteggiata. L’unica incognita è riuscire a trovare un traghettatore con sufficiente carattere e mestiere da mettere – quasi – tutti d’accordo. E aspettare che si calmino le acque.

Se il traghettatore non c’è o non ce la fa, il secondo scenario prevede che il partito si spezzi in due tronconi, seguendo il solito spartiacque ideologico: uno a destra e uno a sinistra. Con due diverse strategie di alleanza. Una coi Cinquestelle che stanno sottraendo i voti popolari, l’altra con Renzi e Calenda che si stanno accaparrando i consensi moderati. La scissione avrebbe il vantaggio di placare le diatribe interne, creando anche l’opportunità di moltiplicare organismi e cariche, un bottino cui la nomenclatura guarda sempre con un certo appetito. Il rischio, però, è che i partitini neonati vengano fagocitati dagli alleati.

Oggi, sia Azione che i grillini hanno l’abbrivio di un buon risultato. E, soprattutto, possono contare su una leadership in grande spolvero. Proprio quello che manca al Pd, e ancor di più mancherebbe ai due spezzoni.

Col che arriviamo al terzo scenario, quello che mette il dito nella piaga. Il vero tabù del Pd è il rifiuto dei suoi oligarchi di riconoscere il primato del capo. Tutte le democrazie occidentali funzionano sulla base del principio che ci sia un leader a rappresentare un partito. Nei confronti del proprio apparato, del proprio elettorato e nella complicatissima gestione e responsabilità del governo. Questo fatto può piacere o meno. Ma è una delle poche certezze nel puzzle sempre più complicato dei nostri sistemi politici. Per il Pd resta, invece, un tabù. Un incantesimo che può essere infranto solo facendo entrare nelle stanze imbalsamate del Nazareno uno tsunami di aria nuova. E l’unico strumento per farlo, sarebbero le primarie aperte.

Aprire alla possibilità che si modifichino i rapporti di forza non con il solito patto spartitorio di un gioco interno a somma zero, ma immettendo energie fresche, estranee alle logiche di corrente e portatrici di nuovi interessi e nuove idee. Energie mobilitate e attirate da una leadership che sappia ispirare fiducia in se stessa e nel futuro. Non sono dinamiche messianiche. Sono ricette elementari che spiegano le alterne vicende dei partiti sul nostro palcoscenico. L’exploit di Fratelli d’Italia, il recupero dei Cinquestelle, la resilienza del berlusconismo hanno in comune l’identificazione dei votanti e dei militanti con un leader.

Le primarie non garantirebbero l’ascesa di un leader carismatico. Ma ne aprirebbero la possibilità. Viviamo tempi molto volatili. Sono bastati quattro anni per trasformare Giorgia Meloni, da capo di un partitino marginale, nel futuro premier italiano. Ce ne vorrebbero, probabilmente, meno per dare anche ai democratici italiani una guida con la visione e la tenacia per provare a rimettersi in marcia. 

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