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Il barista aggredito dai Casamonica: «Ho avuto il coraggio di reagire. Perché i romani non lo fanno?»

di Alessia Marani
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 9 Maggio 2018, 00:31 - Ultimo agg. : 11:24
4 Minuti di Lettura

Marian Roman batte sulla cassa il prezzo di un tramezzino, poi prepara un caffè. Si divide tra il lavoro in carrozzeria e al Roxy Bar della moglie, Roxana, che è accanto a lui ed è una forza di donna. Da due giorni serve, pulisce, sistema i tavoli, risponde alle mille domande dei giornalisti da dietro al bancone, con la solita grinta e cortesia. Lui è più silenzioso, stanno insieme da dodici anni, hanno due bambini ed entrambi hanno lasciato la Romania per costruirsi un futuro in Italia. 

Mariano qui hanno tutti paura di certa gente voi, invece, che venite da lontano siete stati coraggiosi a denunciare. Lo rifareste?
«Certo. E non capisco perché anche i romani che subiscono certe violenze non lo facciano. Lo devono fare, sempre».

I due si sono girati verso la donna disabile e se la sono presa con “’sti romeni de mer...” perché non li servivi per primi... Ti hanno picchiato anche perché sei romeno?
«Questo non lo so e non mi interessa. Io so solo che non si può subire violenza, prendere le botte e rimanere zitti. Mi metti le mani addosso, io ti denuncio. Io li avrei denunciati comunque, a prescindere dal nome che portano, se fossero stati stranieri, italiani o marocchini. Se fosse avvenuto al bar o altrove. Non cambia nulla, io ho fatto una normale denuncia. Certe cose non si fanno e se si sbaglia bisogna pagare».

Sono entrati nel vostro bar come fossero i padroni, nel quartiere si muovono da padroni. Non avete paura?
«Certo un po’ di paura c’è, ma siamo convinti di quello che abbiamo fatto e poi padroni di cosa? Che vuole dire essere padroni? Nessuno deve essere padrone di niente, siamo tutti uomini liberi».

Ora che li hanno arrestati vi sentite meglio? Siete soddisfatti?
«Io mi fido della legge, per ora sono contento. In questo mese che continuavano a girare e a passare qui davanti con la macchina, ho solo continuato a fare la mia vita e così con Roxana continuerò a fare. È stato un mese lungo, la legge dovrebbe essere anche più severa».

Adesso c’è la polizia qui fuori, ci sono le telecamere, i giornalisti. Domani?
«Ci hanno assicurato che non ci abbandoneranno, che avremo protezione, aspettiamo. Intanto spero che arrivi un po’ di tranquillità».

In questo lungo mese sono tornati per intimidirvi, più volte. Com’è andata?
«Sono venuti subito a cercarmi in ospedale. Poi sono tornati anche al bar».
E te?
«In ospedale nemmeno ci abbiamo voluto parlare».
Chi era venuto in ospedale?
«Quello che si chiama Christian con la madre, ma noi ce ne siamo andati via. Sono venuti il giorno stesso, volevano che non presentassi la denuncia».

E dopo al bar il 3 aprile chi è tornato?
«È tornato Enrico che è il nonno, era sulla sedia a rotelle. Ma c’era Roxana in quel momento».
Che cosa vi ha detto?
«Voleva che io ritirassi la denuncia nei confronti dei nipoti. Meglio che lasci perdere diceva».

Era dispiaciuto?
«Mica tanto».
Vi ha offerto dei soldi?
«Ci ha assicurato che se avessimo ritirato la denuncia ci avrebbe ripagato tutti i danni fatti al locale dai nipoti, che per quello non c’era problema. Altrimenti...».

Altrimenti?
«Altrimenti se volete la guerra... ha detto. E facciamo la guerra... abbiamo risposto».

E loro?
«Passavano davanti al bar, guardavano. Ora basta fateci riposare, Roxana ha dormito due ore, siamo stanchi».
 

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