Il declino del sapere
vero male del Paese

di Giovanni Verde
Domenica 23 Settembre 2018, 22:47
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La cultura è il presupposto essenziale della democrazia. Le tirannie, di qualsiasi tipo, hanno sfruttato l’ignoranza delle persone. L’ignorante si affida, è costretto ad affidarsi a chi sa sfruttare la sua debolezza. E di ciò approfitta colui che, in un modo o nell’altro, riesce ad imporsi. Nella storia abbiamo infiniti esempi di chi, sbandierando il suo rapporto con la divinità (in qualsiasi modo rappresentata), ha imposto il suo potere sfruttando le superstizioni del popolo ignorante. E abbiamo anche infiniti altri esempi di quanti hanno fondato il loro potere sull’imposizione autoritaria, impedendo qualsiasi dibattito critico e, prima ancora, creando le condizioni per renderlo impossibile. Ed il modo migliore è quello di far praticare l’ignoranza. Questa, infatti, consente anche a chi esercita il potere di manipolare a suo piacimento la realtà.
Il tema è tremendamente attuale. Il nostro Paese è attraversato da una crisi eccezionale, che non è o non è soltanto quella economica e di sicurezza; è soprattutto una crisi culturale, che non dà alcun valore alla conoscenza e alla competenza. Nel momento in cui prevale nel nostro Paese l’idea che «uno vale uno» o che qualsiasi uno equivale a qualsiasi altro, è conseguenza inevitabile che il corpo sociale sia affetto da un cancro che si dirama dappertutto e che tutto corrompe.
Chi ha cultura o competenza è un «diverso», da tenere in disparte; prima o poi sarà un pericoloso «sovversivo», a cui mettere il bavaglio. Le premesse ci sono tutte. Si devono costituire le cosiddette autorità indipendenti, ossia organismi di garanzia (quali ce ne sono fin troppi nel nostro Paese e in svariati settori); e dovrebbero questi organismi essere la massima espressione di una competenza tecnica e di una indipendenza rispetto alla politica e, più ancora, al governo. Ebbene, nella scelta dei componenti, competenza e indipendenza non contano, tanto uno vale uno (forse, l’unico requisito potrebbe essere quello dell’onestà, che, peraltro, è una precondizione di qualsiasi nomina pubblica). Di conseguenza, la nomina cade su di un soggetto qualsiasi (talora sottoposto ad un improbabile sondaggio in via telematica), a patto che sia «politicamente» affidabile. Occorre riempire i ruoli tecnici dei Ministeri. Lo «spoil system» a che serve? Posto che «uno vale uno», il sistema delle «spoglie» serve a far sì che coloro che occupavano i posti in precedenza debbano essere tutti rimossi. E non ha importanza se avessero competenze e se avessero nel passato svolto correttamente i compiti loro affidati. Vanno sostituiti in blocco, mettendo al loro posto persone politicamente affidabili, tanto –poiché uno vale uno- di sicuro i nuovi nominati saranno in grado di espletare il lavoro che sarà loro affidato. 
Il contesto in cui viviamo è logica conseguenza della crisi degli strumenti della cosiddetta democrazia rappresentativa. È diffusa la convinzione che sia illusorio ritenere che i rappresentanti vengano scelti sulla base delle loro specifiche qualità. Anzi, se il presupposto è che le qualità dell’uno sono perfettamente equivalenti a quelle dell’altro (non è un caso che in Parlamento oggi abbiamo non più degli «onorevoli», ma dei cittadini), non ha senso il ricorrere al sistema elettorale per eleggere i cd. rappresentanti nei consigli degli ordini professionali; o nei consigli di amministrazione delle Università; o negli organismi di tutela dell’indipendenza delle magistrature, e via di questo passo. Il migliore dei sistemi possibili è quello del sorteggio, ossia dell’affidarsi al caso, tanto la qualità del risultato (o della prestazione) non subirà alcun danno, attesa la fungibilità delle persone; anzi, sarà addirittura migliore.
In questo ambiente le voci critiche sono destinate a spegnersi. Di più. Non c’è alcun incentivo a praticare la virtù della conoscenza e gli italiani corrono il rischio di diventare, senza bisogno che ci sia una nuova marcia su Roma, una folla passivamente plaudente, quale è quella che è interessata esclusivamente alla soluzione dei suoi problemi contingenti, che oggi si riassumono soprattutto nel sussidio di sopravvivenza e nella sicurezza. Dobbiamo riconoscerlo. Oramai e purtroppo l’Italia è un Paese che non dà rilievo al sapere e che disconosce l’importanza della conoscenza. Il dibattito critico, alimentato da una solida base di conoscenze, nel quale ciascuno è disposto a misurarsi con le ragioni dell’altro, si va lentamente spegnendo, essendo sostituito da «talk show» la cui unica funzione è quella di fornire agli arringatori di turno una comoda passerella televisiva. Si stanno aprendo le porte ad un esercizio incontrollato del potere. Il problema ha radici lontane. Nel nostro Paese, fortemente sindacalizzato e sempre più assistenziale, si è progressivamente posta la sordina al «merito» delle persone. È un retaggio delle politiche del passato delle quali la situazione presente costituisce il finale punto di arrivo.
I giovani che hanno potenzialità e volontà di sfruttarle si trovano in un Paese inospitale e vanno via o si apprestano ad andare via. La popolazione che resta assomiglia sempre più alla folla plaudente del passato e la nostra debole democrazia ad un regime. Il declino, che si protrae da anni, è inarrestabile. Altro che crisi dell’economia! 
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