Il delitto di Mergellina e il lessico di una resa

di Massimo Adinolfi
Martedì 21 Marzo 2023, 23:45 - Ultimo agg. 22 Marzo, 06:03
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Lui non c’entra, lui non c’entrava. Lui non apparteneva ad ambienti criminali, non aveva nulla a che fare con la faida di Pianura, non aveva precedenti. Lui, Francesco Pio Maimone, diciotto anni e una vita davanti, non è stato ucciso per futili motivi, bensì per nessun motivo: non c’era infatti motivo alcuno perché l’assassino - ieri sera è stato fermato un 20enne, figlio di un affiliato a un clan di camorra ucciso in un agguato - gli squarciasse il petto con un colpo di pistola. Però è morto lo stesso.

Nessun motivo per morire, ma anche nessuna ragione per sparare a casaccio tra la folla. Nessuna ragione per dirimere una lite a colpi d’arma da fuoco, e nessuna ragione per detenere un’arma e portarsela con sé tra gli amici della movida. E invece l’arma c’era, la lite è accaduta, il colpo è partito, un ragazzo è morto.

Si può maledire il caso e compiangere la vittima, inorridire dinanzi alla violenza e reclamare che sia fatta giustizia, ma non si può fare l’unica cosa che si vorrebbe fare: che non sia stato fatto quel che invece è stato fatto irreparabilmente E dunque: cosa resta? 

Resta anzitutto lo sgomento, e una sensazione di impotenza. La presa d’atto non che qualcosa è andato storto, ma che tutto continua a andare storto, se la violenza omicida può esplodere in contesti di vita ordinaria, tra una birra e qualche chiacchiera tra amici, nella confusione allegra di una normale serata domenicale, dinanzi al mare.

Se è così, che forza hanno le parole che pure vengono spese a fiume, i programmi i progetti gli interventi, le azioni di recupero o di reinserimento, le misure educative, le proposte formative, i presidi culturali, le politiche di prevenzione? Bisogna provarci e riprovarci, aumentare gli sforzi, moltiplicare le energie, e arrivare anche là, dove non si è ancora arrivati. Ma non si può fingere che tutto, ma proprio tutto l’impianto politico e culturale al quale affidiamo il compito di ricucire lembi di città, brani di vita, fibre di esistenze difficili e precarie non vada in frantumi ogni volta che un colpo parte senza senso, dal nulla verso il nulla. Bisogna ogni volta rimetterlo in piedi, ogni volta ricominciare daccapo? Certo, e però ogni volta è più difficile, assediati dal dubbio che sia tutto inutile e vano.

Ci vuole ben altro, già. Ma cos’altro? Quel che di sicuro no ci vuole è chiudere frettolosamente lo squarcio aperto dallo sparo di Mergellina.

Cavarsela con una meditazione dolente sulla disgrazia accaduta, per aggiungere subito dopo che per fortuna Napoli non è tutta qui, Napoli non è solo la fotografia di una scena di violenza insensata.

Certo che non lo è. Bisogna lottare ogni giorno per riaffermarlo. Però Napoli non è neppure soltanto il teatro innocente e casuale di un incidente presto derubricato in cronaca come uno dei tanti episodi che punteggiano le giornate di una città metropolitana, ricca di mille altre pagine, mille altri colori. Di nuovo: è così. Ma comporre il racconto della città come se anche il suo campionato, come quello della squadra, collezionasse quasi soltanto vittorie, di fronte a tragedie simili ha il significato amaro di una rimozione.

Forse persino di una resa. Se nulla si può fare, tanto vale passar oltre. Dopotutto, le statistiche non dicono che una quota di violenza, in certi contesti urbani, è inevitabile? Se si guarda al fenomeno nel suo complesso – mettendolo in prospettiva, comparandolo con i tassi di violenza e criminalità di altre grandi città e comprendendolo in una chiave storica – si potrà davvero sostenere che il delitto di Mergellina non merita più di qualche riga in cronaca.

Un’eco distratta, fra l’ennesima serie fortunatamente di successo – dove i conti tornano e il riscatto è possibile – e il sorteggio dei quarti di Champions, dove tocchiamo ferro ma diciamo almeno che i giochi sono tutti aperti.
Il bello della statistica è che ti dà i numeri, ma non il loro significato. Quello, i numeri da soli non lo possiedono. Possono averlo forse le parole, se però ti fanno capitare nella stessa frase (o nello stesso articolo: questo) un omicidio e un evento sportivo, oppure la realtà e la fiction televisiva.

Allora, forse allora ti accorgi che non si può fare finta di niente senza oltraggiare la giustizia, la memoria, il senso di cittadinanza. Perché le cose stridono, non possono stare insieme, non devono le une fare velo alle altre. Ti accorgi che Francesco Pio non c’entrava, proprio non c’entrava e non doveva entrarci. Ma noi altri c’entriamo eccome. E dobbiamo essere tirati dentro. Per non passare ad altra pagina di giornale, cavarcela con un altro racconto della città, rinfrancarci lo spirito e fare infine come se niente fosse.

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