Il divario sociale che spacca il Paese

di Gianfranco Viesti
Lunedì 14 Giugno 2021, 23:30 - Ultimo agg. 15 Giugno, 08:08
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Perché è così importante, e condivisibile, l’obiettivo che la ministra Carfagna ha illustrato pochi giorni fa al Mattino, e cioè definire presto i “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP)?

Per capirlo, va ricordato che i cittadini italiani hanno doveri e diritti, che dovrebbero essere uguali per tutti. Ma non è così. Fra i primi, quello di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contribuiva” in base a “criteri di progressività” (art. 53 Cost.).

Ciò dovrebbe essere del tutto indipendente da dove si vive; e invece a parità di composizione familiare e di reddito, una famiglia campana paga un punto e mezzo in più di tasse rispetto ad una famiglia lombarda (e quattro in più rispetto ad una famiglia di Bolzano), a causa delle addizionali comunali e regionali. Fra i secondi, innanzitutto i diritti all’istruzione (i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, art. 34 Cost.), alla salute (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti, art. 32 Cost.) all’assistenza (ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. art. 38 Cost.).

Ma in tutti questi casi i dati mostrano come esistano delle differenze molto grandi, dei veri e propri “divari civili” fra i cittadini del Nord e del Sud, con quelli del Centro collocati in posizione intermedia.

Il divario civile territoriale italiano, come mostrato dagli studi del sociologo Emanuele Pavolini, non ha riscontro negli altri grandi paesi europei. Solo in Italia vivere in una regione piuttosto che in un’altra comporta una differenza nei diritti. I meridionali sono oggettivamente cittadini di serie B.

Perché accade questo? In primo luogo, per le diverse dotazioni di infrastrutture necessarie per erogare i servizi: per capirci, dal livello delle apparecchiature negli ospedali alle mense nelle scuole. Tutti i dati convergono ancora nel mostrare che nel Mezzogiorno vi è una dotazione largamente inferiore rispetto al Nord. A riguardo la legge 42 del 2009 (che attua alcune parti della Costituzione così come riformata nel 2001) prevedeva che si dovessero prima misurare queste disparità e poi progressivamente perequarle, cioè ridurle. Ma in questo aspetto non è stata sinora mai attuata, come si dirà meglio più avanti.

In secondo luogo, il divario civile dipende dalle risorse correnti di cui dispongono Comuni e Regioni per erogare i relativi servizi.

Come Il Mattino sta documentando da molti anni, tali risorse sono assai inferiori nel Mezzogiorno. Qui si comincia a comprendere l’importanza dei LEP. Infatti, anche su questo aspetto è intervenuta la legge 42 prevedendo che si dovessero fissare i fabbisogni finanziari di Comuni e Regioni, in base a criteri oggettivi, anche per garantire i LEP; trasferendo risorse a quelli più poveri, anche attraverso un “fondo perequativo” (art. 119 Cost.).

Ma come i lettori del Mattino ben sanno l’attuazione di questa legge è stata un vero scandalo: innanzitutto perché mancano i LEP; poi, perché tutti criteri e le misurazioni sono state a lungo sistematicamente distorti proprio per impedire che i Comuni del Sud ottenessero maggiori risorse. Il meccanismo del “fondo di solidarietà comunale” dovrebbe andare a regime solo nel 2030, senza che vi sia alcun ostacolo tecnico a farlo prima. Infine, alcuni studi indicano che alcune amministrazioni al Sud preferiscono usare diversamente le risorse disponibili: ma, a parte che questo può dipendere largamente proprio dalla loro minor disponibilità totale (la spesa comunale per abitante è in Campania del 16% inferiore alla media nazionale), tale eventuale distorsione potrebbe essere impedita proprio dai LEP, dato che l’art. 120 della Costituzione prevede che il Governo possa sostituirsi a Comuni e Regioni che non li garantissero. Dunque, ottimo l’obiettivo politico della ministra Carfagna. Il primo, importante e obbligato passo per fare dell’Italia un paese meno ingiusto, con una decisione politica di grande rilevanza, è proprio fissare i LEP; ed è essenziale che essi siano, tenendo conto delle risorse disponibili, al livello più elevato possibile.

Ma come bene sa la Ministra, da politica esperta e che conosce bene tutte le questioni tecniche, questo non è che un punto di partenza. Per mostrarlo basti citare due recenti decisioni. La prima riguarda proprio l’attuazione della legge sul finanziamento di Comuni e Regioni, che, si è detto, dovrebbe avvenire senza motivo non prima del 2030. Ora, questo tema fa parte delle riforme, di cui tanto si parla, previste dal Piano di Rilancio (PNRR). Ma guarda caso è l’ultima della fila: il completamento del “federalismo fiscale” è previsto solo nel marzo 2026, il più tardi possibile.

La seconda riguarda la “perequazione infrastrutturale” di cui pure si è detto. Il recentissimo decreto sulla Governance del PNRR è tornato ad occuparsene (già era avvenuto nel gennaio), fissando la misurazione di queste disparità entro ottobre – con modalità che destano perplessità – e stabilendo un fondo di 300 milioni l’anno (2023-27, poi 500) per ridurle. Cioè destinando 0,3 miliardi l’anno alla perequazione in un periodo in cui, proprio per il PNRR, la spesa aggiuntiva per investimenti pubblici (due terzi degli oltre 200 miliardi del Piano) dovrebbe essere intorno ai 30 miliardi all’anno. In altri termini, si destina alla perequazione più o meno un centesimo della nuova spesa, mentre in molte Missioni dello stesso PNRR, specie in quelle legate all’infrastrutturazione sociale o scolastica, mancano indicazioni chiare e cogenti sulla destinazione territoriale degli investimenti.

Benissimo i LEP: ma soprattutto se essi testimonieranno di una più generale volontà politica, molto diversa dal passato, di ridurre davvero i divari civili. 

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