Il grande spreco energetico

di ​Davide Tabarelli
Lunedì 19 Novembre 2018, 22:54
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Siamo nel baratro, altro che sull’orlo. Ne è una prova che in Italia si stia ancora discutendo se i termovalorizzatori servano oppure no. Sono passati 20 anni dall’inaugurazione dell’impianto di Brescia che milioni di italiani hanno visto passandoci di fianco sull’A4. Dista dal centro cittadino meno di 2 chilometri e fornisce attraverso il teleriscaldamento calore al 70% dei quasi 200 mila abitanti, oltre che ad ospedali, centri commerciali, industrie e scuole.
Nel 2006 ha ricevuto il riconoscimento come il migliore impianto al mondo per recupero energetico da rifiuti, si è allacciato alla rete di riscaldamento attiva dal 1972, una delle prime in Europa e fiore all’occhiello della politiche ambientale del comune che, proprio per questo, è stata modello per altre 190 città, piccole e grandi, tutte nel centro nord Italia. Riceve circa 700 mila tonnellate anno di rifiuti, di cui quasi 300 mila rifiuti urbani e produce mezzo miliardo di chilowattora all’anno di elettricità, il consumo di 200 mila famiglie. Negli ultimi anni ha ricevuto rifiuti dal Lazio, per aiutare Roma, per un ammontare intorno alle 30 mila tonnellate anno. In passato ha goduto degli incentivi ambientali, gli stessi che hanno finanziato quello di Acerra, attraverso il provvedimento Cip 6/92 che sovvenziona le fonti rinnovabili, perché, come giustamente riconosciuto a livello internazionale, i rifiuti urbani, per metà sono di materiale organico, ovvero fonte rinnovabile, come le bucce della frutta, o la carta fatta con gli alberi. Se fosse vero quello che dicono alcuni, tutti sarebbero messi male a Brescia. Invece, le aspettative di vita, l’unico indicatore certo della salute di un territorio, sono fra le più alte in Italia, 83,5 anni, contro una media nazionale di 82,7 o valori più bassi al Sud, come gli 81,6 in Sicilia, che di termovalorizzatori non ne ha. 
Da anni l’esperienza dei paesi e delle città più avanti confermano che senza recupero energetico il ciclo dei rifiuti non si chiude e, rimanendo aperto, finisce per creare danni, finire nelle discariche, nel migliore dei casi, o causare incendi più o meno accidentali. La pressione politica sulle amministrazioni, che spesso ci marciano, a fare il rifiuto zero, ha spinto a creare canali di spazzatura trattata o riciclata che fino al primo gennaio 2018 poteva essere mandata in Cina. Da quando questa si è rifiutata di ricevere materia contaminata di pessima qualità, carta o plastica, allora il problema è esploso in tutta Europa e, in particolare, in Italia. L’anomalia eclatante riguarda la difficoltà in Italia di fare il recupero termico, mentre le discariche, che tutti vorremmo chiudere, continuano ad essere lo sbocco principale in molte aree del Sud. L’Italia manda in discarica ancora il 29% dei suoi rifiuti, contro lo zero della Germania, mentre di recupero termico ne fa solo il 18%, contro il 32% della Germania. Per fare un buon riciclaggio, come fa la Germania con il 49%, contro il 32% dell’Italia, occorre proprio la possibilità di liberare grandi volumi di materiale attraverso l’invio alla combustione, per lasciare le plastiche buone e la carta pulita adatta ad essere riciclata. 
In discarica in Italia vanno circa 7-8 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti, all’interno dei quali finiscono molti volumi provenienti dai centri di trattamento, quelli che tirano fuori qualche cosa di riciclabile, ma che per lo più fanno un rimescolamento, per fare un po’ di scena e per evitare di chiamare tal quale il rifiuto urbano. Tenuto conto del potere calorifico di questi rifiuti, circa 2500 chilocalorie per chilo, meno di un terzo di quello del petrolio, è come che buttassimo via 1,5 milioni di tonnellate di petrolio all’anno che, tenuto conto del suo prezzo di 400 € per tonnellata, vale quasi 1 miliardo di energia sprecata, cosa che nessun paese si può permettere, tanto meno l’Italia da sempre povera di energia e da 10 anni in strutturale arretramento economico. 
Sono 8 i termovalorizzatori che il precedente governo aveva identificato come necessari, ma a questi andrebbero aggiunti quelli che si ritenevano autorizzati, 5, ma che continuano ad incontrare problemi, e quelli che devono essere ammodernati e aumentati di capacità. Si tratterebbe di impianti ad alta tecnologia, da dove le emissioni di inquinanti sono ampiamente sotto i limiti di legge, da dove la diossina non esce perché le temperature di combustione sono vicine ai 1000 gradi, dotati di filtri ultra sofisticati per abbattere tutti gli inquinanti, fra cui le polveri sottili. Investimenti dell’ordine di un paio di miliardi di euro utili ad attivare economica locale, ma soprattutto necessari per migliorare la salute degli italiani, sempre che non credano, però, alle favole dei rifiuti zero.
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