Il primo editoriale del direttore Francesco de Core: l'ultima sfida che il Sud ​non deve perdere

Il primo editoriale del direttore Francesco de Core: l'ultima sfida che il Sud non deve perdere
di Francesco de Core
Giovedì 2 Giugno 2022, 23:00 - Ultimo agg. 4 Giugno, 08:32
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Cos’è Il Mattino? Un quotidiano, certo. Con una storia centenaria che ne dimostra la credibilità e l’autorevolezza. Ma Il Mattino non è solo un giornale. Non lo è ai miei occhi, ovvero agli occhi di chi osservava, da bambino, suo padre tornare a casa con quei fogli così densi di parole e carichi di inchiostro, e di chi in una redazione del Mattino ha mosso i suoi primi passi, ci è tornato con mansioni via via più importanti, fino a essere richiamato adesso nel ruolo di direttore. Ma non lo è nemmeno agli occhi della platea dei lettori e di tutto il territorio su cui Il Mattino poggia da 130 anni il suo sguardo. Sguardo oggi mirabilmente riassunto in una immagine di straordinario impatto, l’insegna che dal Centro direzionale – dove oggi ha sede la redazione centrale del quotidiano, nella Torre Francesco - scruta la città, Napoli, e della città sembra raccogliere gli umori, i sentimenti, l’intensità. E, perché no, la sua bellezza. Metaforicamente, quella insegna porta luce sulla Campania e sull’intero Sud, e continuerà a farne anche lì dove il buio, e la stagnazione, perpetuano una arretratezza e un divario con il resto del Paese che ancora ci sconvolge e ci indigna.

Ma c’è di più. Cos’è, realmente, Il Mattino? Federico Monga mi lascia in eredità un giornale vivo e generoso, una voce forte e libera come da tradizione; una comunità, che irradia il suo pensiero dalla redazione alle città nel perimetro di una narrazione in costante evoluzione. Cambiano gli scenari, si trasforma il contesto (purtroppo rovesciandosi talvolta alla maniera del Gattopardo, così che nulla cambia per davvero), si evolvono gli strumenti con i quali riprodurre, e rappresentare criticamente e con spirito autonomo, il reale così liquido: la carta, sì, ma anche il digitale e il web, le autostrade che ci permettono di ri-modellare l’immagine di un frastagliato consorzio sociale, rispondendo ai bisogni dei tempi, senza abbandonare o trascurare quella funzione primaria per la quale il giornale è stato creato. 

È un grande albero, Il Mattino, con radici salde, possenti, profonde. Che si è rafforzato in momenti tragici, dando fiato a chi l’aveva perso, come nei giorni del terremoto del novembre del 1980 e del “Fate Presto” che è risuonato nel mondo intero come appello, monito, persino opera tra arte e denuncia; o attraverso il sangue versato da Giancarlo Siani, un delitto che su di me, allora cronista ventenne di provincia, ebbe un impatto sconvolgente, drammatico, la faccia atroce e vigliacca della camorra. 

È come un ulivo del Sud, Il Mattino, che continua a lanciarsi verso un segmento di cielo nuovo ma non per questo meno affascinante. La sfida è aperta, oltre la crisi dell’era che attraversiamo, i colpi di maglio della pandemia, che ci ha fiaccati nell’animo prima ancora che nel corpo, e della guerra d’invasione che sta straziando il cuore dell’Europa, con il rischio di una assuefazione intollerabile. Ogni crisi, però, cova in sé delle occasioni. Saperle cogliere è il nostro obiettivo, con tenacia lungimirante. Il Sud sarà investito da una ondata di fondi senza precedenti; sarà compito dei politici e degli amministratori, al riparo dalle tentazioni di accomodamenti al ribasso e dalla pervasività della criminalità organizzata, cogliere una chance che mai più si ripresenterà. Perché se le risorse del Pnrr andranno sprecate, non ci sarà proiezione verso l’Europa né alcun tipo di futuro, soprattutto per i giovani che non vogliono abbandonare la loro terra ma che dalla loro terra non intendono più sentirsi traditi.

 

Trattenere la nostra “meglio gioventù”, con riguardo e capacità persuasiva; dare credito, dentro una prospettiva condivisa, a quanti operano in silenzio per prosciugare il bacino di indigenza - e quanta straordinaria volontà occorre per recuperare i ragazzi a rischio - come ai giovani talenti delle startup che proliferano pure in regime di concorrenza spietata, è un obbligo che va assolto.

Altrimenti ci attende un baratro dal quale sarà impossibile risalire. Non è più il momento delle lamentazioni, delle rivendicazioni senza assunzioni di responsabilità, di sterili analisi sociologiche che producono alibi capaci di invalidare pure i buoni principi enunciati; va definitivamente chiusa l’era di un dirittismo sfrenato a scapito dei doveri, ineludibili, che ci attendono. C’è l’ora o mai più, di fronte a noi.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, parlando recentemente a Sorrento alla convention organizzata dal ministro Mara Carfagna, ha sostenuto la centralità del Sud, in Italia e in Europa, riconoscendone le enormi potenzialità e aggiungendo che è giunto il momento di dire basta a narrazioni sostenute da pigri pregiudizi. Vero. Ma forse è anche giunto il momento di chiedersi non solo chi li crea ma pure chi li alimenta, questi pigri pregiudizi. La “chiamata” non può non coinvolgere il Sud stesso, che troppo spesso, e colpevolmente, ha abbassato la guardia, rifugiandosi in sterili pretese quando non in identità posticce che, come trompe-l’oeil, servono solo a nascondere quanto da tempo è in disfacimento. Un Mezzogiorno che creda in se stesso, nel suo straordinario capitale umano, nel patto tra le generazioni, nella convergenza tra quel che resta della borghesia produttiva e un ceto medio spesso rabbioso e sbandato, in progetti che sappiano incanalare, codificare e governare un impeto creativo mai esauritosi nel tempo, è il primo precetto da seguire e coltivare. Il che prelude anche a una concordia istituzionale che è l’altro presupposto necessario per l’unità di intenti, al netto delle comprensibili differenze: ci si può dividere ma al solo scopo di giungere a un obiettivo comune, che non allarghi ulteriormente la frattura tra opinione pubblica e mondo politico, emersa con drammaticità negli ultimi anni e che tanta fatica si fa oggi a ricomporre. Perché soprattutto nel Mezzogiorno la crisi della delega ha fiaccato i saperi, ridato fiato a una classe dirigente impreparata e rigenerato il terreno incolto del populismo senza peraltro mai intaccare con efficacia i privilegi di casta, che continuano a prosperare. 

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Un Sud, con Napoli e la Campania in testa, che – svincolandosi anche dall’idea pervasiva (e dall’alibi) di un gomorrismo che tutto inquina ma senza per questo veder spegnersi il faro imprescindibile della legalità - sia capace di rialzare la testa: è a questa società civile che il Mattino vuole rivolgersi, perché se è vero, come sosteneva Carlo Levi, che il futuro ha un cuore antico, è altrettanto legittimo auspicare un rinnovamento nel segno della discontinuità.

Ciò, in molti territori, dalla polpa all’osso, dall’area metropolitana alle province, già avviene, talvolta nel silenzio generale che diventa apatia, sufficienza, quando non (arrogante) disdegno. Rompere schemi logori, guardare alla modernità con spirito ed entusiasmo persino pionieristici, giocare la partita con gli strumenti di cui si dispone: l’intraprendenza, l’estro, la storia, la cultura, un terziario snello ed inventivo - e clamoroso è il caso dell’industria cinematografica che ha riportato Napoli tra i set più affascinanti e invidiati. Lo abbiamo sentito dalle parole dei tanti protagonisti che si sono alternati sul palco del teatro di Corte di Palazzo Reale, in occasione della celebrazione dei 130 anni del Mattino. Non erano frasi dettate dalla circostanza, ma inviti al fare che travalicano la semplice soglia di una generica speranza.

Non elencherò qui i problemi del Sud. Già altri lo fanno, tutti i giorni, come un mantra. Il cahier de doléances è ben noto. E, alla fine, logora solo chi lo recita stancamente. Alle questioni non bisogna opporre formule astratte ma dare risposte tangibili, come nel caso – da esempio - del riparto dei fondi nazionali della sanità, che alimenta una sperequazione insostenibile. Perché poi non tutto possa essere ridotto alla scena, vergognosa quanto si vuole ma figlia di un problema endemico spesso rimosso, dei pazienti ammassati sulle barelle dell’ospedale Cardarelli; e perché poi non vengano fiaccate l’intraprendenza, la lucidità e la perizia professionale di medici, come quelli del Cotugno, che prima e meglio di altri, in Italia, hanno fronteggiato l’emergenza Covid nella primavera del 2020 intuendone la devastante pericolosità. È da questo Sud che si deve ripartire, è dall’impatto delle competenze, dalla dinamicità delle intelligenze, che bisogna trovare l’energia necessaria, il coraggio per risalire.

Ed è a questo Mezzogiorno che Il Mattino darà legittima cittadinanza. 

 

Ora, la “preghiera laica” sta passando dal cartaceo con le sue roboanti rotative al flusso incorporeo del digitale, laddove però resta immutata la qualità dell’informazione. Perché non cambia il giornalismo, e non mutano le regole auree a cui il vero giornalismo deve ispirarsi. Ringrazio l’editore, Francesco Gaetano Caltagirone, per la fiducia che mi ha accordato e l’opportunità che ha voluto offrirmi: la passione civile di questo giornale, che si esprime a ogni suo livello, è garanzia di credibilità e reputazione, e mai si affievolirà. Rispetto a questa prova che ogni giorno si perpetua lungo i varchi tradizionali e quelli più innovativi, Il Mattino – con la sua redazione, i suoi collaboratori, i dirigenti e tutto lo staff quotidianamente impegnati - non farà mai un passo indietro. L’insegnamento dei quattro direttori con cui qui ho lavorato – Mario Orfeo, Virman Cusenza, Alessandro Barbano e Federico Monga – e dei colleghi, amici cari, che non ci sono più – Massimo Baldari, Armando Borriello, Salvo Sapio - mi dà ulteriore conforto e sostegno. Fin da ragazzo, mi affascinava una frase di Martin Luther King, secondo cui la vera misura di un uomo non si definisce nei momenti di convenienza ma nel modo in cui affronta le sfide. Al nostro lettore, e al suo insindacabile giudizio, l’ultima parola su una sfida, appunto, che si rinnova ogni giorno. Nel comune segno della trasparenza e della ricerca di verità. 

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