Il momento della verità
con l'Unione Europea

di ​Mario Ajello
Giovedì 22 Agosto 2019, 00:00
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C’è da chiedersi, davanti alla svolta politica e di governo che si va preparando in Italia, che cosa si aspetta l’Europa da questo. Il rischio è che in sede Ue ci si aspetti, dopo la fase contundente dovuta alla Lega, un ritorno del nostro Paese alla stagione dell’europeismo più tradizionale e mainstream che non ha mai fatto troppo bene alle sorti nazionali.

Il risultato delle ultime elezioni europee va letto, da parte di tutti, sia in Italia sia nelle istituzioni comunitarie, nel suo significato vero. A fronte di un’avanzata degli europeisti in molti degli altri Paesi, va ricordato che da noi non è andata esattamente così. La Lega ha avuto un successo, Fratelli d’Italia ha avuto un successo. Mentre i due partiti più europeisti o neo-europeisti, Pd e 5 stelle, uno ha tenuto a stento le posizioni e l’altro ha perso clamorosamente. Questo segnale in controtendenza rispetto al resto d’Europa e il fatto che i due partiti del governo giallo-verde non appartenevano (e non appartengono) alle tradizionali famiglie politiche europee va ricordato oggi, nel momento in cui si parla di una collaborazione stabile e di legislatura tra i neo-europeisti pentastellati e gli europeisti dem di lunga data.
Al di là di ciò che di buono può produrre questa alleanza, bisogna guardarsi da un potenziale pericolo. Quello di tornare a una sorta di anno zero nel rapporto con la Ue. Cioè di andare a riproporre il tempo dell’acquiescenza italiana rispetto al sacro verbo di Bruxelles.
La rivendicazione di flessibilità fatta in passato dall’Italia, e che tanti contenziosi ha portato con la Ue, non potrà certo capovolgersi in un appeasement nei confronti della nuova commissione presieduta da Ursula von der Leyen. E questo per due ragioni. 
La prima è che significherebbe non aver ascoltato ciò che i cittadini italiani hanno detto nelle urne del 26 maggio.
La seconda è che ci metteremmo in una condizione di maggiore debolezza nelle trattative con la Ue sulla prossima legge finanziaria e in generale sulle questioni che attengono all’economia italiana. E’ vero che la strategia di iper-aggressività praticata dal Carroccio e dal suo leader ha isolato l’Italia, togliendole i margini per un negoziato vincente che comunque può avvenire soltanto attraverso il confronto e non con l’incomunicabilità. Ma di sicuro in un momento di stagnazione della nostra economia e di galleggiamento del Paese, la prima cosa da fare è di non scivolare più o meno passivamente nell’imbuto del più trito rigore europeo. Anzi, bisogna sfruttare al massimo e con una soggettività forte quei margini di flessibilità che il nuovo establishment brussellese dice di voler dare all’Italia. La quale necessita della sospirata e sempre rinviata (da parte di tutti gli ultimi governi) crescita. 
Il momento della verità sarà anche nella scelta del commissario Ue che spetta al nostro Paese. Dovrà essere un europeista, naturalmente. Ma un hombre vertical. Libero da quel senso di debolezza che l’Italia ha spesso mostrato nelle sue interlocuzioni con il potere comunitario. Occorre essere leali alla Ue, ma senza timidezze. Dandosi quel coraggio che in passato è mancato. A tutto svantaggio dell’interesse nazionale.
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