Il mondo che cambia:
si fa presto a dire smart working

di Enrico Del Colle
Lunedì 19 Ottobre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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In questa nuova fase di ritorno dell’amo semina la sfida più difficile per chi governa è quella della proporzionalità, cioè della necessità di conciliarela salute con l’economia e la necessità di non fermare la vita di tutti i giorni. Questo vale per i ragazzi a Scuola (e all’Università), in particolare nei momenti di non lezione, ma anche nelle sedi di attività lavorative da svolgere necessariamente (o prevalentemente) in presenza e, pertanto, la soluzione più efficace non appare facile da individuare. 


Prendiamo il caso del lavoro – forse il termometro più sensibile per esprimere un giudizio sulla situazione economica del Paese – e se osserviamo quello che sta accadendo, constatiamo come, in questa fase pandemica, l’organizzazione del lavoro abbia palesato notevoli mutamenti durante i quali ha trovato spazio il lavoro agile (smart working) che è “prepotentemente” salito agli onori della cronaca in chiave anti-Covid e sta incidendo non poco sui ritmi di vita dei lavoratori, delle relative famiglie e delle aziende da cui dipendono (compresa la Pubblica Amministrazione). 

Diciamo subito che l’Istat, in un recente rapporto, ha stimato come la platea potenziale del lavoro agile (cioè un lavoro subordinato con assenza di vincoli orari e spaziali), stabilito in funzione delle caratteristiche professionali, si attesti su circa 8 milioni di occupati (il 35% del totale), di cui soltanto poco più di un milione ha effettivamente lavorato con questa modalità fino a prima della pandemia. 

Ora il settore privato conta quasi 2 milioni di occupati in lavoro agile, mentre tra i dipendenti pubblici, in base a quanto fissato dal ministro Dadone, sono attualmente il 50% (potrebbero aumentare fino al 75%). 

È immediato comprendere come questa materia stia assumendo un ruolo rilevante ma, contestualmente, sia “scivolosa” non soltanto sul piano normativo ma anche e soprattutto economico. Spieghiamo meglio: intanto deve essere chiaro che, con questa tipologia occupazionale, il discrimine tra momenti di lavoro e momenti del vivere quotidiano rischia di diventare molto sfumato e i due “tempi” potrebbero sovrapporsi creando disequilibri dagli effetti non facilmente gestibili, né tantomeno misurabili (si pensi che sempre dal rapporto Istat si evince come circa il 40% di chi lavora in smart working abbia dichiarato di essere stato contattato più volte al giorno, per ragioni di ufficio, fuori dall’orario di lavoro).

Dunque, il lavoro agile dovrà trovare una nuova e più moderna collocazione dal punto di vista normativo (requisiti e regole contrattuali, criteri definitori dell’orario di lavoro e l’irrinunciabile tutela della salute, ad esempio), ma quello che si vuole qui mettere in evidenza sono i risvolti economici soprattutto in termini di produttività che, come sappiamo, rappresenta un fattore frenante per la crescita del nostro Paese (basti pensare che il tasso medio annuo di crescita della produttività del lavoro è stata in Italia, nell’ultimo quinquennio, dello 0,3% rispetto all’1,4% della media Ue).

Infatti, da più parti si è convinti che il ricorso allo smart working possa avere ricadute positive di efficienza per il dipendente, fermo restando che il segno distintivo del lavoro agile risiede nel definire gli obiettivi del singolo lavoratore, condividerli tramite un accordo con il datore e organizzare il lavoro in base a periodi prestabiliti. 

Quindi, il lavoro andrebbe ripensato alla luce di tale tipologia, cercando di armonizzare gli interessi collettivi con le esigenze individuali. In altre parole, occorre tenere nella giusta considerazione il ruolo della contrattazione collettiva, ma non senza comprendere i cambiamenti avvenuti e che interverranno nel futuro mercato del lavoro, più selettivo, più incentivante e più meritocratico. Dunque, siamo di fronte a situazioni che potrebbero avere conseguenze non solo congiunturali, ma anche strutturali ed è importante predisporci ad affrontarle adeguatamente. 

Sicuramente occorrono maggiori investimenti nelle tecnologie avanzate – in particolare nella Pubblica Amministrazione che, negli anni trascorsi ha sopportato pesanti tagli ai relativi finanziamenti – così come appaiono indispensabili urgenti interventi nella formazione e nella digitalizzazione. Solo in questo modo potremo giungere ad un’effettiva armonizzazione tra lavoro e vita familiare del dipendente, con fattivi riflessi sulla produttività, tale da “restituirci” lo smart working come qualcosa di diverso da una modalità di lavoro emergenziale e con l’obiettivo di evitare, inoltre, il pericolo di introdurre un paradigma di regole rigorose sotto un profilo formale, ma distante dalle esigenze e dalle aspettative di un moderno mercato del lavoro.  

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