Il 17 marzo prossimo papa Francesco andrà a Pietrelcina e San Giovanni Rotondo per celebrare padre Pio, che la Chiesa ha canonizzato come san Pio da Pietrelcina, nel centenario delle stigmate e nel cinquantenario della morte. Che c’entra un Papa come Francesco, tanto sobrio e diffidente nei confronti di apparizioni e miracoli, con un santo che dava del tu al soprannaturale in modo spettacolare come Padre Pio? La questione è meno semplice di quanto sembra. In molte parti del mondo, ma soprattutto in Italia, padre Pio è diventato un’icona universale immediatamente comprensibile da tutti, anche da quelli che poco sanno della sua vita.
Negli ultimi giorni lo hanno confermato due episodi, apparentemente minori ma che ci dicono molto del ruolo che padre Pio ha assunto nell’immaginario collettivo. Nello sceneggiato televisivo di grande successo “Rosi Abate” la protagonista, che è la “regina di Palermo” della mafia, a una stazione di servizio sta per comprare una statuetta di padre Pio. Alla fine non la compra, ma lascia i soldi alla benzinaia invitandola a tenere la statuetta per sé. Lo spettatore comprende che nel cuore della mafiosa, che ha sulla coscienza un buon numero di omicidi, sta succedendo qualcosa. Dopo pochi giorni, si lascerà arrestare dalla polizia pur di salvare suo figlio. Non c’è bisogno di complesse spiegazioni: chi segue lo sceneggiato vede l’immagine di padre Pio e capisce che prelude a qualcosa che ha a che fare con la conversione e i misteri del cuore umano.
Domenica scorsa, l’allenatore del Milan, il non dimenticato giocatore della Nazionale Rino Gattuso, interrogato dai giornalisti sull’ennesima batosta della squadra rossonera, è sbottato in diretta televisiva affermando: «Non sono mica padre Pio». Anche qui, quello che affascina lo studioso di religioni è il linguaggio. Non c’è bisogno di spiegare ai tifosi di calcio, certo non tutti credenti, chi sia padre Pio. Anche il più laico dei telespettatori comprende immediatamente che padre Pio fa i miracoli e un allenatore, per quanto s’impegni, invece non li fa.
Si potrebbe dubitare del fatto che papa Francesco segua la televisione, anche se si sa che segue il calcio, ma non è importante. Il Pontefice è attentissimo al linguaggio, e privilegia soprattutto il linguaggio popolare. In un’intervista ha ricordato uno spunto della variante non marxista della teologia della liberazione, che condivide, secondo cui il “popolo” è più di una categoria politica o sociologica: è una categoria mistica. Nel linguaggio popolare parla l’anima profonda delle nazioni e, per il credente, parla talora anche lo Spirito Santo. Francesco, dunque, non può ignorare quanto padre Pio sia diventato un significante universale del linguaggio popolare. Non pensa, lo ha detto tante volte, che questi processi vadano contrastati, il che del resto sarebbe impossibile. Vanno assecondati, ma nello stesso tempo evangelizzati.
Si dimentica spesso che il cardinale Bergoglio è stato uno dei prelati sudamericani che hanno rivalutato la religiosità popolare. Diventato Papa, ha citato oltre cinquanta volte il “Documento di Aparecida” di cui fu fra i redattori nel 2007, cioè le conclusioni della Conferenza dei vescovi latino-americani tenuta ad Aparecida, in Brasile. Quel documento aveva una premessa: negli anni precedenti una percentuale imponente di latino-americani, secondo alcuni il venti per cento dei cattolici, aveva lasciato la Chiesa cattolica per aderire alle denominazioni protestanti pentecostali. Anziché demonizzare i pentecostali come “sette” – un atteggiamento che, come Papa, Francesco avrebbe nuovamente condannato nel 2014 visitando cordialmente una comunità pentecostale a Caserta – l’allora cardinale Bergoglio concluse che i cattolici perdevano fedeli perché, con la loro critica razionalista della religiosità popolare, allontanavano coloro che cercavano una religione “calda”, accogliente, festosa, attenta ai miracoli, capace di cantare e ballare e non solo di fare teologia e opere sociali.
Tutto era buono e perfetto nella religiosità popolare? No, affermava il documento di Aparecida. C’erano anche incrostazioni di superstizione e di commercializzazione. Ma non bisognava buttare via il bambino con l’acqua sporca. Quanto in questa religiosità era veramente popolare, e nello stesso tempo veramente cristiano, andava preservato gelosamente, separandolo dalle eventuali deviazioni.
È, presumibilmente, lo stesso atteggiamento che il Papa manifesterà verso il culto di padre Pio. Nella sua essenza, questo culto è una genuina espressione del popolo, categoria mistica e insieme luogo teologico. Come sempre avviene, ci sono state deviazioni, superstizioni e scandali commerciali. Ma queste brutte pagine, che vanno eliminate dalla bella storia del popolo che venera padre Pio, nulla tolgono alla grandezza del santo di Pietrelcina e all’amore del suo popolo per lui. Con questo popolo papa Francesco vuole entrare in sintonia. Di solito, ci riesce molto bene.
Il Papa e Padre Pio, rapporto complesso
di Massimo Introvigne
Martedì 19 Dicembre 2017, 22:53
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