Berlusconi, il perenne gioco dell'oca

di Alessandro Campi
Venerdì 20 Ottobre 2017, 23:35
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Vivremo pure in un’epoca di rapide e profonde trasformazioni. Ma il resto del mondo, no di certo noi italiani. Nella Penisola, soprattutto politicamente parlando, il tempo sembra davvero essersi bloccato. E dire che una nuova stagione pareva essersi aperta anche da queste parti.

Prima il morigerato rigorismo montiano, poi l’ondata democraticista grillina, infine il rottamatore-modernizzatore Renzi, beh, come nel gioco dell’oca sembriamo tornati al punto di partenza. Cioè a Berlusconi.
Ieri a Capri, anno del Signore 2017, sembrava di essere a Capri nel 1994. Ma poteva anche essere il 1996, il 2001 o il 2008. Quando il Cavaliere, nell’imminenza delle campagne elettorali che sono sempre state la sua specialità, andava nei congressi confindustriali per spiegare a suoi amici imprenditori che lui e solo lui – l’uomo del fare, l’uomo che ha costruito dal nulla un impero – poteva garantire prosperità al Paese, abbassare le tasse, tagliare le unghie alla burocrazia, mettere la mordacchia alla magistratura politicizzata e sconfiggere i comunisti.

Alcune sue sortite in quegli ambienti sono diventati pezzi d’antologia. Come quella volta a Vicenza in cui, era il marzo del 2006 e sedeva ancora a Palazzo Chigi, si presentò a sorpresa ad un raduno d’imprenditori e sebbene afflitto dalla lombosciatalgia diede spettacolo, tra gli applausi dei colleghi in platea e gli sguardi attoniti dei vertici di Confindustria sul palco. Attaccò i giornali e le Cassandre della sinistra, disse a Prodi che il suo programma elettorale era uguale a quello della Cgil, rinfacciò a Della Valle i suoi scheletri nell’armadio, se la prese con Magistratura Democratica e con quei politici e uomini d’affari che ne erano succubi. Una forza della natura, anche se quelle elezioni le vinse poi Prodi.

L’uomo, che ha ormai superato gli ottanta, non può più permettersi quegli scoppi di furore e vitalismo. Ma l’accoglienza benevola che ieri gli è stata riservata dai giovani imprenditori di Confindustria, che nell’isola stavano celebrando il loro trentaduesimo congresso nazionale, e soprattutto che cose che ha detto, peraltro con la passione e la verve di sempre, stanno lì a dimostrare che per il Cavaliere il tempo semplicemente non passa. E se oggi, come molti pensano (e altrettanti temono), si appresta a vincere le elezioni è proprio perché non ha modificato di una virgola i suoi slogan e le sue parole d’ordine. È una sorta di eterna giovinezza politica capace di resistere a tutto: al buonsenso, alle smentite della storia e della cronaca, ai fallimenti della sua stessa azione politica quando è stato al governo. 

Le oppressioni da cui grazie a lui potremo liberarci sono dunque sempre le stesse: quella burocratica, quella fiscale e quella giudiziaria. Sono sempre le stesse le barzellette e le battute sagaci che dispensa all’uditorio. Medesima è la formula con cui si prepara ad andare al voto: un centrodestra dai leghisti ai post-missini, dai tardo-democristiani agli ex-socialisti, di cui lui naturalmente sarà il capo politico, l’ideologo, l’ispiratore, il padre nobile e, se servirà, anche il finanziatore. E poi, come ai vecchi tempi, le pensioni a 1000 euro per tutti, l’omaggio sentimentale alle nostre mamme, il richiamo all’orgoglio imprenditoriale («siamo eroi»), la promessa di tagliare le tasse, il «ghe pensi mi» nel rapporto con gli alleati riottosi trattati come ragazzotti, l’elenco dei ministri già pronto in tasca con tanti bei nomi che verranno dalla mitica società civile, per chiudere con un grande classico: il ricordo delle migliaia di udienze (6637 secondo il suo calcolo) affrontate con stoica determinazione e con spirito di resistenza, senza mai darla vinta a coloro che hanno provato a cacciarlo dalla vita pubblica per via giudiziaria. Non potrà candidarsi, perché la sua espulsione da Senato l’hanno alla fine ottenuta, ma lui è sempre lì. 

Si è notata solo una piccola differenza. Se nel 1994 prometteva di salvarci dai comunisti, oggi il suo impegno, agli occhi dell’Europa e avendolo promesso alla Merkel in persona, è salvarci dai populisti (comunque anch’essi accusati di essere al dunque la longa manus politica della magistratura rossa). I primi in effetti li ha schiantati, tanto che per salvarsi si sono dovuti affidare ad un avatar del berlusconismo qual è oggettivamente, per stile linguaggio e programma, il riformista Renzi. I secondi rischiano di essere un osso più duro visto che col Cavaliere condividono almeno due cose: l’estrazione dal mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento del loro capo Grillo e la retorica anti-politica sulla quale Berlusconi per primo ha costruito la sua fortuna politica. Ma a parte questo cambio d’obiettivo polemico il Cavaliere ascoltato ieri era comunque per davvero la replica di quello che abbiamo sempre conosciuto.
Il problema di quest’immutabilità, voluta e platealmente esibita, è se davvero possa risultare vincente come dicono anche i sondaggi. In questo caso il problema smette di essere Berlusconi e lo diventano gli italiani e i suoi avversari o competitori. Dei primi si potrà dire che dimenticano con troppa facilità, che abboccano alle chiacchiere con altrettanta leggerezza e che sono essi per primi dei conservatori ma nel senso peggiore del termine. Dei secondi si deve invece dire che se Berlusconi rivincerà per la quarta o quinta volta in vent’anni è forse perché le alternative politiche che hanno costruito e offerto agli elettori sono state, specie in questi ultimi anni, davvero di pessima qualità. Se il Cavaliere è stato accusato di essere un avventuriero senza bussola, quelli venuti dopo di lui in avventurismo e approssimazione, ecco il punto, lo hanno ampiamente battuto, sino a farlo apparire per compensazione (e forse per stanchezza mista a disperazione) un maturo e posato statista. Che magari ripete sempre le stesse cose, ma almeno hanno il pregio di essere cose ragionevoli. Cose che anche altri hanno ripetuto, a loro volta senza costrutto, ma almeno lui ha avuto il merito di dirle per primo.

Siamo insomma in piena stagnazione-restaurazione. Andremo alle urne, quelli che ci andranno, col solo obiettivo di votare non la proposta politicamente migliore o il leader più affidabile, ma quella che ci apparirà la soluzione meno rovinosa o più rassicurante. Quando non si vogliono correre rischi, si sa, ci si affida all’usato e al già noto, al meno peggio, a quello che – diciamo anche questo – avrà pure tanti difetti ma rimane ancora il più simpatico del mazzo. Berlusconi ama dire e pensare di sé che è immortale. Ma forse la sua lunga durata politica, nessuno si offenda, più che dal destino è dipesa dall’inconsistenza – mista spesso a presunzione e cialtroneria – di chi ha provato a sbarragli la strada esattamente al suono delle sue stesse chiacchiere, imitandolo nei suoi stessi difetti. Abbiamo sognato il Nuovo, ci toccherà tenerci il Vecchio. E se a qualcuno viene da ridere, sappia che invece c’è solo da piangere.
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