Il punto di vista (che non c’è)
su scuola e Sud

di Massimo Adinolfi
Venerdì 5 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Quali sono le linee di discrimine che attraversano e dividono il campo della politica? Dipende dal punto di osservazione, dalle cose che stanno a cuore e dal giudizio che si rende su priorità, interessi e ideali. Se per esempio siete tra i grillini della prima ora, non c’è nessuna linea del genere.

Sono tutti uguali, tutti della stessa pasta, tutti corrotti.

Se siete sovranisti no euro, magari con simpatie no vax, l’unica linea che conta è quella che divide voi da tutti gli altri (e dai poteri forti: dietro, e contro, ci sono sempre i poteri forti). Non c’è differenza alcuna neppure per chi appartiene a quelle frange estreme, per le quali non una delle forze parlamentari è in grado di mettere davvero in discussione l’assetto mondiale dell’economia capitalistica. In giro, però, di elettori così ne son rimasti pochi (per fortuna). Molti invece sono quelli che, astenendosi, danno implicitamente un giudizio analogo: non votano perché non vedono cosa potrebbe cambiare, dando la preferenza agli uni o agli altri.

Il primo compito della politica – e intendo: di tutte le forze politiche, ovunque si collochino – è dimostrare invece che quelle linee esistono, e fanno la differenza. Ora, a giudicare da queste prime battute di campagna elettorale, il discrimine fondamentale che rende invotabile la destra, agli occhi di Pd e Azione, riguarda in sostanza democrazia e atlantismo: la coalizione che mette insieme Meloni, Salvini e una Forza Italia ormai subalterna, lontana dalla tradizione liberale, non darebbe sufficienti garanzie sul piano dei diritti e delle alleanze europee e internazionali nel cui quadro il nostro Paese è inserito. Vista da destra, invece, non si può votare la sinistra – mi pare di capire – perché è una confusa ammucchiata, perché è il partito delle tasse, perché non difende l’interesse e la sicurezza nazionale.

Così è, se vi pare. Non sto ora a dire cosa penso di queste rappresentazioni più o meno caricaturali che rimbalzano da uno schieramento all’altro, e quale capacità di mobilitazione abbiano. Poiché però il punto di osservazione è importante, lo dicevo prima, mi limito a constatare che linee così tracciate non tengono minimamente in considerazione il Mezzogiorno. Sembra cioè che nessuno pensi di prender voti con un programma che risponda a una delle questioni veramente decisive: che ne sarà del Mezzogiorno, che fine faranno gli investimenti destinati alle regioni meridionali, quale importanza si assegna alla riduzione delle diseguaglianze fra le diverse aree del Paese, e come si intende gestire l’ingente flusso di risorse destinato al Sud.

La qual cosa è lievemente paradossale.

Non solo perché tutti ripetono come una cantilena che molto del futuro del Paese è legato al Pnrr, e che di quel molto una buona parte si giocherà al Sud, anzitutto sulla capacità delle pubbliche amministrazioni di dare attuazione concreta ai programmi di spesa previsti. Ma anche per ragioni strettamente politico-elettorali: il dato più significativo delle scorse elezioni è stato o no il 50% e più preso dai Cinque Stelle nelle regioni meridionali? Ebbene, che fine farà quel voto? C’è qualcuno che se lo domanda, che si chieda come coinvolgerlo, motivarlo, tenerlo dentro lo spazio della partecipazione democratica? Ora che la marea pentastellata si è ritirata, come si orienterà quella porzione di elettorato, che da quella clamorosa manifestazione di sfiducia verso l’offerta politica tradizionale non ha tuttavia potuto cavare un ragno dal buco? Confluirà nell’astensionismo, ripiegherà su soluzioni di tipo clientelare, o si potrà agganciare a un progetto credibile di riforma?

Prendo un tema sensibile, sul quale si sprecano parole vuote e frasi fatte: la scuola. Che è o dovrebbe essere, in una democrazia, il principale motore di ascensione sociale. E che però non funziona, e non funziona soprattutto al Sud dove i dati sulla dispersione scolastica rimangono da terzo mondo. Ora, cosa ci sia nei programmi elettorali sul tema della scuola io non lo so, e mi piacerebbe saperlo. Posso immaginare però che ci siano promesse del tipo più soldi ai docenti, e fine del precariato. Grazie tante: son cose che ci sono sempre, non dico che non ci vogliano, anzi, ma dico che non spiegano i ritardi della scuola, non indicano una prospettive di riforma, non affrontano il nodo delle diseguaglianze, non ridisegnano i cicli scolastici, non ripensano l’autonomia, in breve: non rimuovono un solo accidente di ostacolo alla libertà e all’uguaglianza, come la Costituzione chiede di fare. E il Sud ne paga le conseguenze.

Ma torno alla faccenda dei discrimina, e concludo: di quale scuola parlano i due schieramenti? Hanno spostato la linea sul tema integrazione/immigrazione, che è questione rilevantissima, persino decisiva, se non fosse che spesso funziona come un’arma ideologica di distrazione che annebbia ogni concreta ipotesi di riforma, e nasconde i numeri – gli asili in meno, le palestre in meno - che descrivono l’arretratezza del Mezzogiorno.

Così è, se vi pare. Ma dal punto di osservazione di questo giornale, visto che i punti di vista contano, è il più grave dei peccati di omissione, e bisogna dirlo.

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