Il Superbonus e gli effetti distorsivi dei sussidi

di Paolo Balduzzi
Venerdì 1 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Finisce, mestamente e senza proroghe, l’esperienza del cosiddetto “bonus 110%”, una misura annunciata esattamente due anni fa dal governo Conte e che avrebbe dovuto ridisegnare il patrimonio edilizio dell’intero Paese. Al contrario, oltre a qualche indubbio effetto positivo, sembra avere contribuito a evidenziarne i suoi limiti più marchiani. Lo stop al rifinanziamento non è una sorpresa: il presidente del Consiglio Draghi non è mai sembrato particolarmente entusiasta della normativa.

Anzi, quando si è espresso esplicitamente, lo ha sempre fatto in maniera molto critica.

Ma che cosa non ha funzionato? Vale la pena di passare in rassegna alcuni di questi problemi. Non tanto per accanimento; piuttosto, per evitare che misure simili (che già ci sono o che sono state annunciate come di prossima approvazione) non facciano altro che reiterare gli stessi limiti.

Una premessa: l’idea che un Paese si rinnovi e si doti di tecnologie moderne e a risparmio energetico, siano esse applicate all’edilizia, alla mobilità o a qualunque altro settore non può che essere positiva. Ma se un esperimento non funziona, la cosa peggiore da fare è non imparare nemmeno da quel fallimento.

Il primo insegnamento che si trae da questa esperienza è il seguente: la burocrazia va riformata prima di un intervento e non durante la sua applicazione. In Italia anche le migliori idee sono condannate a naufragare. Il mostro, come lo chiamerebbe Thomas Hobbes, si è agitato per due anni cambiando le regole, sconvolgendo i procedimenti, dilatando i tempi e aumentando obblighi e documentazioni richieste. 

Un danno certo per l’attività economica in generale e per i cittadini onesti in particolare, forse solo parzialmente compensata dagli abusi che sono stati evidenziati. 

Secondo insegnamento: l’ambizione di fare grandi cose può portare a errori marchiani. E a danni duraturi. Il nostro Paese era totalmente incapace di gestire un bonus di questo tipo. Ma ora non si può semplicemente abbandonare l’esperienza come se questa non avesse prodotto effetti. Ci sono tantissime aziende che si sono esposte e che, senza proroghe o rifinanziamenti, saranno a rischio chiusura. Per ritardi, vale la pena di ricordarlo, che non dipendono certo da loro. L’uscita deve essere quindi graduale. 

Terzo insegnamento: l’effetto redistributivo del bonus non è stato affatto chiaro. Dal lato dell’offerta, le piccole aziende edili, forse le più bisognose, hanno avuto pochi ritorni, alcune addirittura hanno evitato di impegnarsi su un’impresa considerata al di là delle loro capacità (non edilizie, bensì di gestione della burocrazia). 

Dal lato della domanda, i piccoli proprietari non sono stati considerati clienti interessanti: i ricavi maggiori arrivano infatti dai condomini o dalle grandissime ville. Il che va bene: ma escludere arbitrariamente un pezzo importante della società da benefici pubblici (finanziati anche dalle imposte pagate dagli esclusi) non è esattamente l’ideale dal punto di vista redistributivo. 

Quarto e ultimo insegnamento: ogni sussidio (così come ogni tassa) ha un effetto distorsivo sui prezzi.

Spesso, come in questo caso, nella direzione di farli lievitare per almeno due motivi. Il primo è per ragioni di “domanda”: introducendo uno sconto su alcuni beni (le ristrutturazioni edilizie), questi sono più richiesti; quando la domanda supera la capacità dell’offerta di soddisfare le richieste, i prezzi salgono per mantenere il mercato in equilibrio. 

Oltre a ciò, il meccanismo del 110% non offre alcun incentivo per contrattare prezzi più bassi; paradossalmente, anzi, è interesse di tutte le parti private in causa (tranne, naturalmente, lo Stato che finanzia il tutto) trovare un accordo al rialzo, così da aumentare il credito d’imposta. 

Rinunciare al 110%, con tutti i problemi che ciò crea, si porta almeno via queste distorsioni? È solo un’illusione. Basta fare un paio di esempi. Mentre il Parlamento continua a discutere della delega fiscale, si fa luce la possibilità di un rimborso spese istantaneo per le spese sanitarie; in altri termini, invece di avere uno sconto d’imposta del 19% ottenibile con la dichiarazione dei redditi, si avrà diritto a uno sconto immediato di uguale ammontare. 

Bene, verrebbe da dire: una misura trasparente, fruibile da tutti, con effetti immediati. Tuttavia, ancora una volta, bisogna ben bilanciare i pro e i contro. La trasparenza è un valore positivo solo se gli effetti, razionali o comportamentali che crea, sono adeguati. 

In questo caso, uno sconto posticipato (la detrazione d’imposta) non influenza i prezzi delle prestazioni sanitarie (visite, esami, medicinali). Al contrario, uno sconto immediato avrà effetti. La previsione (semplice) è che chi può fissare i prezzi (i professionisti) li aumenterà, tanto al cliente sembrerà comunque di pagare di meno. E uno sconto fiscale che prima era solo a vantaggio del cittadino ora sarà suddiviso tra il cittadino stesso e il professionista: è davvero questo quello che si vuole? Si avanzano seri dubbi. 

Un ultimo esempio: l’Unione Europea nella sua interezza istituzionale (Commissione, Parlamento e da ieri notte anche Consiglio) annuncia la fine dell’auto a benzina o diesel a partire dal 2035. Obiettivo encomiabile. Finalità indiscutibile. 

Ma quali saranno i suoi effetti redistributivi? O, chiesto con altri termini, chi pagherà questo capitolo della transizione ecologica? Aumenterà la domanda per queste auto, è evidente. E non in un contesto dove il consumatore è libero di scegliere tra auto diverse e dove tutti i produttori possono competere offrendo tipologie e prezzi diversi ma in un mercato in cui alcuni beni sono esclusi, totalmente e per legge, dalla competizione. 

Siamo sicuri che i prezzi della auto scenderanno? La Cina si sta accaparrando le materie prima già oggi (anzi, da ieri); l’Unione Europea procede molto più lentamente. È davvero giusto che tutto il costo della transizione ecologica, edilizia o in altre forme, sia concentrato sulla generazione corrente? 

Da mesi stiamo subendo tassi di inflazione che non si registravano dal secolo scorso. È troppo chiedere al legislatore di non peggiorare ulteriormente la situazione?

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