Il ventre di Napoli la meraviglia violentata

di Antonio Pascale
Lunedì 17 Maggio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 18 Maggio, 08:30
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Quando siamo in vena di stupire i nostri ospiti, li accompagniamo a Napoli, e ci spertichiamo in lodi. Guardate che anfiteatro naturale. Notate come dalla collina dei Camaldoli si passa al pianoro del Vomero e da questo, attraverso un costone tufaceo, si arriva alla collina di Posillipo. Fate attenzione alla morfologia, dai Camaldoli, degrada dolcemente sulla costa. Parliamo poi dei tesori della città, di due o tre musei eccezionali.

Dopo aver accompagnato i nostri ospiti per caffè storici, con promesse di babà e sfogliatelle gli diciamo: e questo non è niente, ora andiamo a visitare la Napoli sotterranea. Qui – dichiariamo- c’è l’altra storia di Napoli. Memorie del sottosuolo: frutto di diverse stratificazioni, greche, romane e via dicendo. Spieghiamo che l’espansione della città ha richiesto l’utilizzo di ingenti quantità di materiale da costruzione, soprattutto tufi, e da qui le cavità, ma anche la realizzazione di acquedotti sotterranei e di opere idrauliche per lo sfruttamento delle falde idriche o per il convogliamento delle acque reflue. Descriviamo la funzione delle cavità, oltre a quelle già elencate, funzionavano da rifugi, ai tempi di guerra, o per depositare mercanzie varie e di ogni genere. Pure da abitazioni.

Sappiamo che la visione del sottosuolo di Napoli avrà sul nostro ospite effetti di meraviglia, almeno quanto quelli che si provano da certe vedute panoramiche. Tuttavia, queste cavità da una parte sono un tesoro, dall’altra rappresentano un pericolo e comunque le due forze (tesoro contro pericolo) simboleggiano anche la fragilità della città: un attimo e si forma una voragine, un accidente meteo, un temporale o una pratica umana (mi allargo un po’ un garage per avere più spazio) e tutto si sfalda, crolla. 

Sappiamo che questa città sotterranea per continuare ad esistere e produrre quelle esclamazioni di meraviglia da parte dei nostri ospiti che tanto ci gratificano, deve per forza andare incontro a lavori di manutenzione e stabilizzazione.

Detta papale papale per ridurre il rischio di crolli con conseguente apertura di voragini, occorre non solo una conoscenza del sottosuolo ma è necessario anche far capire a tutti come si sono formate le cavità e come si deve e si può convivere con esse. Dunque, se le cave sono un’eredità del passato e possono essere sfruttate per ragioni turistiche, allora queste cave devono essere patrimonio di tutti, conosciute e da tutti protette e non usate per gli egoismi dei pochi. Altrimenti, diciamo la verità, già sono strutture fragili, cave appunto, già hanno resistito millenni, poi arriva qualcuno che scava, così, amabilmente per i suoi interessi e come un effetto domino, come una farfalla che batte le ali, ecco il tornado, una voragine. 

Napoli è una città normale e complicata insieme, normale perché hai i problemi che hanno tutte le medie grandi città, ma purtroppo la risoluzione dei medesimi è lenta, spesso nemmeno avviene, perché molti sono ancorati a un immaginario particolare, che complica appunto, il rapporto con la città stessa. Si continua a definire Napoli come un unicum, toccata non so da quale sensibilità esotica, eccezionale, dove tutti si vogliono bene, perché sono teatranti simpatici e lazzari felici che bene o male, arrangiandosi, risolvono tutto. Più crediamo a questa storia più siamo egoisti, meno ci diamo da fare per risolvere i problemi quotidiani, che richiederebbero meno culto dell’eccezionalità e più opere di manutenzioni. Insomma gesti comuni e medi. È necessario che questa cura sia collettiva e continua, studiata e non affidata all’improvvisazione. Collettivizzare (culturalmente) e proteggere il sottosuolo, dunque è il miglior modo per prendere contatto col sottosuolo stesso. Dobbiamo poggiare i piedi su una base sicura. Solo così potremo assaporare il sole e l’orizzonte marino e nello stesso tempo trovare riparo dalla calura. E poi l’ombra ha sfumature tanto particolari.

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