La guerra scoppiata ai vertici di Open AI è il segnale che non sarà facile conciliare le due anime dell’Intelligenza Artificiale, l’ottimista e la catastrofista. L’azienda che, introducendo la AI generativa, ha rivoluzionato il settore ha bruscamente licenziato il proprio amministratore delegato. Ma sollevando un’ondata di reazioni che l’ha costretta a tornare sui suoi passi. O almeno a provarci. Perché alla fine dei conti – economici – si sta rivelando un’utopia conciliare due interessi. Si tratta della salvaguardia del bene pubblico con gli stratosferici guadagni che Chat Gpt e i suoi derivati promettono a chi ne conquisterà il controllo, e lo sviluppo.
La crisi è tanto più interessante perché non investe due parti contrapposte, ma nasce dal cuore stesso di una società che si era data, volutamente, due anime. Quella originaria, no profit ed esplicitamente impegnata a limitare i danni della AI, ha conservato il controllo sulla parte che, per garantire gli enormi investimenti indispensabili alla ricerca, ha accettato le regole del mercato. A cominciare dai tredici miliardi di dollari che Microsoft non ha esitato a mettere nel piatto. A fare da tramite tra queste due anime ci pensava Sam Altman, il più geniale degli astri nascenti della Silicon Valley. Fino a venerdì sera, quando gli hanno comunicato a muso duro che poteva andarsene a casa. Ma è bastato che Altman facesse girare la voce che avrebbe fondato una nuova società che i big tech di tutto il pianeta, a cominciare da Google, si affrettassero a fargli la corte. E che, con la coda tra le gambe, dall’azienda che aveva creato si rifacessero vivi. Quale che sarà l’esito di questa faida, tre lezioni sono già chiare.
La prima è che, per nostra fortuna, esiste nella comunità degli scienziati che si occupa di intelligenza artificiale una robusta componente che lavora tenacemente – e brillantemente – per cercare di garantire che gli straordinari vantaggi che la AI generativa può produrre non si trasformino in una minaccia per la stessa sopravvivenza dell’umanità. Non si tratta soltanto degli appelli che in tanti hanno autorevolmente firmato. C’è una schiera di imprenditori e inventori personalmente impegnati a contrastare una deriva incontrollata e incontrollabile della nuova frontiera. La spaccatura dentro Open AI ha reso noto al grande pubblico un retroterra etico e ideale che diventerà sempre più importante per le scelte che dovremo fare.
Tanto più importante perché, come si è capito in questi giorni, conciliare le due anime della AI sta diventando una mission impossible. Una volta che il demone è scappato dall’ampolla, come si fa a reinfilarcelo dentro? Basta pensare alla rapidità con cui si sono propagate, in pochi mesi, le applicazioni della AI generativa in tutti i settori industriali, sconvolgendo e ridefinendo routine lavorative, procedure e, in molti casi, gli stessi assetti organizzativi. Ma, accanto a questi cambiamenti visibili, quelli che forse spaventano di più sono quelli che non si percepiscono, e che stanno già profondamente trasformando il nostro modo di interpretare e comprendere processi complessi, influenzando la capacità di scrittura e la stessa creazione artistica. Per non parlare delle conseguenze a cascata sul mondo dell’informazione.
Per non arrendersi in questa battaglia, si stanno moltiplicando le richieste di interventi legislativi adeguati. E non v’è dubbio che sia una strada obbligata. Ma a patto di capire la portata – e il nocciolo – della sfida. Alzare troppo il tiro tirando in ballo la fine del mondo, rischia di non farci vedere che sotto scacco – già adesso – sono le nostre democrazie. E non perché qualche forza del male si stia impadronendo di un’arma letale. Ma perché l’elemento più nocivo e micidiale della AI generativa è la sua assenza di trasparenza. E, per la democrazia, la trasparenza è l’aria di cui si nutre. Per quanti sforzi possiamo fare per chiarire, documentare, informare, la General Purpose Technology resterà, per la stragrande maggioranza dei cittadini, un alieno. Che sta entrando nelle nostre case, anzi è già entrato. E ha già cominciato a permeare il mondo della politica.
Nella battaglia presidenziale appena conclusa in Argentina, lo scontro tra i candidati è stato pilotato con testi e immagini generati dalla AI. Con uno schema che si ripeterà a breve sul grande palcoscenico americano, per diventare rapidamente il nuovo standard della competizione elettorale. Siamo ben oltre le fake news. Siamo alla realtà artificiale che prende il posto di quella reale. In simili condizioni, è facile immaginare quanti andranno ancora a votare.
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