La bomba Iran nel mondo diviso

di Gianandrea Gaiani
Martedì 18 Giugno 2019, 00:00
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L’Iran conferma il rispetto dell’accordo sul suo programma nucleare, denunciato unilateralmente dagli Stati Uniti, ma avverte che il 27 giugno supererà il limite imposto per l’arricchimento e la produzione dell’uranio per soddisfare le esigenze della centrale nucleare di Busher e di un reattore per ricerca scientifica.
Così l’Iran da un lato ammonisce gli Usa e le monarchie sunnite del Golfo che stanno colpendo il regime teocratico anche strangolandone l’economia con l’embargo sull’export petrolifero, dall’altro preme sull’Unione europea che a parole sostiene l’accordo con l’Iran ma non sta facendo nulla per ostacolare le pressioni statunitensi tese a indurre gli alleati a sospendere ogni relazione commerciale con Teheran.

La sfida in atto ha visto il potenziamento delle forze statunitensi nel Golfo, i sorvoli di caccia Usa e sauditi lungo i confini dello spazio aereo iraniano e soprattutto i due misteriosi attacchi alle petroliere, in maggio in un porto emiratino e pochi giorni or sono in mare aperto a est dello Stretto di Hormuz. Entrambi gli attacchi sono stati attribuiti da statunitensi e britannici agli iraniani ma tra gli analisti e nelle cancellerie di molti Paesi, inclusi molti alleati di Washington (come la Germania), dubbi e perplessità si sprecano. L’Iran dispone dei mezzi navali e subacquei (sommergibili, minisottomarini, incursori, barchini e mine) per bloccare lo Stretto di Hormuz paralizzando il traffico delle petroliere ma respinge le accuse di aver attaccato le petroliere.

«Se dovessimo deciderlo, potremmo apertamente e completamente ostacolare le esportazioni di petrolio dal Golfo Persico e per farlo non avremmo bisogno di alcun inganno o segretezza», ha detto ieri il capo di stato maggiore delle forze armate, generale Mohammad Bagheri.
Sul piano strategico l’Iran sta subendo pressioni di ogni tipo da sauditi, emiratini e dagli Stati Uniti, che non nascondono come l’obiettivo non sia solo scongiurare che Teheran si doti di ordigni nucleari ma anche provocare la caduta del suo governo, il cosiddetto “regime-change”. Eppure, solo ieri, sia il Cremlino che il nuovo ambasciatore francese a Teheran hanno ammesso quello che l’Agenzia per l’energia nucleare dell’Onu (Aiea) dice da anni e cioè che l’Iran ha finora rispettato tutti i limiti imposti dall’accordo sul nucleare.

L’Iran non avrebbe alcun motivo logico per offrire ai suoi avversari un casus belli colpendo per primo le petroliere in transito, a meno che non intenda mostrare i muscoli e le sue potenzialità offensive a scopo deterrente. Non si può però neppure escludere che gli attacchi alle petroliere siano stati effettuati dagli avversari dell’Iran con l’intento di addossargli la colpa e aumentarne l’isolamento internazionale.
Il segretario di Stato Mike Pompeo ha ammonito che Washington è pronta ad assumere “tutti i provvedimenti” necessari per garantire la sicurezza della navigazione della regione e Londra ha ribadito che prenderà inconsiderazione “tutte le opzioni disponibili” in caso l’Iran non rispetti gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo sul nucleare. Proclami bellicosi ma dopo le “pistole fumanti” sulle armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein nel 2003 e dopo il Datagate non pare saggio fidarsi ciecamente di quanto ci propina l’intelligence britannica e statunitense. Del resto che la guerra (per ora solo di parole) all’Iran si combatta senza esclusione di colpi lo dimostra anche lo smantellamento, annunciato ieri da Teheran, di una rete di spie della Cia.

L’iniziativa unilaterale statunitense contro l’Iran, sostenuta da Israele e sauditi nell’apparente impotenza della comunità internazionale, rischia di provocare conseguenze destabilizzanti gravissime. Potrebbe rafforzare nei “falchi” iraniani la convinzione che solo dotandosi di armi atomiche (seguendo l’esempio della Corea del Nord) potranno bilanciare l’arsenale nucleare israeliano e soprattutto garantirsi contro ogni rischio di attacco. Uno sviluppo inaccettabile per lo Stato ebraico (che per le ridotte dimensioni verrebbe cancellato anche da un solo piccolo ordigno atomico) e che determinerebbe la corsa all’atomica in tutto il Medio Oriente.
Vale poi la pena sottolineare che un conflitto o una prolungata tensione nel Golfo con la chiusura di Hormuz e il rallentamento o lo stop all’export di greggio penalizzerebbero l’economia di moltissimi paesi ma colpirebbe in misura limitata Gran Bretagna e Stati Uniti, grandi produttori ed esportatori di petrolio.
 
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