Ischia e gli angeli del fango

di Erasmo D’Angelis
Giovedì 1 Dicembre 2022, 23:55 - Ultimo agg. 2 Dicembre, 06:00
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Nel romanzo italiano delle catastrofi, e nell’ultimo capitolo-thriller di Casamicciola, figurano fortunatamente anche i nostri eroi. Sono le centinaia di soccorritori, quelli che il Mattino sta raccontando da giorni.

Dda donne e uomini in divisa superspecializzati ai volontari e ai sorprendenti giovani spalatori di fango con volti sorridenti e incrostati dal fango che ricordano la prima grande spontanea mobilitazione giovanile in soccorso della Firenze alluvionata dal 4 novembre del 1966, quella che spinse anche tanti campani e ischitani a raggiungere la città toscana. 

Con l’ansia a mille l’Italia intera segue la ricerca dei dispersi con una tempestiva mobilitazione di mezzi di terra, di cielo, di mare, e le più innovative tecnologie hitech, con cani addestrati e microtelecamere a fibra ottica e ad infrarossi in grado di “vedere” il calore emesso dai corpi, con microfoni sensibili e microrobot che possono penetrare nelle più piccole cavità, con geofoni che rilevano anche le vibrazioni più deboli e lifelocators che catturano anche il battito di un cuore, oppure scavando con delicatezza estrema a mani nude per evitare crolli.

È questo il nostro sistema di Protezione civile in azione, guidato da Fabrizio Curcio, che scatta ad ogni emergenza di qualsiasi tipologia, a qualsiasi ora e in qualsiasi località, schierando tutto intero lo Stato, le sue forze organizzate - Vigili del Fuoco, Carabinieri e Polizia, Guardia di Finanza, Esercito e Croce Rossa, gruppi di ricerca scientifica, strutture del Servizio Sanitario Nazionale -, e anche le organizzazioni di volontariato e i team super-specializzati come quelli del Soccorso Alpino e Speleologico. È un modello unico al mondo, replicato in diversi Paesi, e creato da Giuseppe Zamberletti, un democristiano dalla tempra di ferro finito sulle barricate della difesa degli italiani dal terrorizzante catalogo di terremoti, alluvioni, frane ed eruzioni. 

Zamberletti si è battuto come un leone per la nascita di un modello di soccorso e di prevenzione strutturale permanente in grado di affrontare con piani, programmi e organizzazione anche la fase del “prima” di un evento perché, come ripeteva “non ne possiamo più di contare solo i morti e dobbiamo proteggere i vivi, raggiungere un rischio accettabile e gestibile”.

E provò sulla sua pelle il costo della disorganizzazione nei soccorsi e, tra una sigaretta e l’altra, raccontava così la tragedia dei mesi del dopo terremoto in Friuli con quella cannonata sismica magnitudo 6,4 che, alle 21.06 del 6 maggio 1976, fece 989 morti, oltre 3000 feriti, 189 mila senzatetto, distrusse 10.500 case in 137 Comuni: «Mi trovai in una situazione da fine del mondo. E l’ho anche scampata bella quando accompagnai Andreotti in visita ai paesi colpiti. Pioveva, faceva freddo, i terreni erano inzuppati d’acqua, le tendopoli erano allagate, e una vecchina, in mezzo al fango, si tolse uno zoccolo e lo tirò contro di noi ma colpì Andreotti in fronte. Lui non disse niente, si tolse il fango dalla faccia, e proseguimmo in silenzio. Arrivati sotto l’elicottero, mi disse: Io torno a Roma, tu ti fermi qui». 

Dalla macerie e dal fango del Friuli iniziò a riorganizzare tutto, in una Italia dove non esistevano dispositivi operativi, e nemmeno riuscivano a sapere dove indirizzare i soccorsi in caso di evento, e quando sarebbero arrivati. Creò la Protezione Civile come autorità riconosciuta e in grado di far muovere e gestire tutte le forze operative dello Stato e del volontariato, con la legge 225 del 1992.

Ma tra i “padri” della Protezione Civile ci sono anche tanti “angeli del fango” della Firenze alluvionata e isolata dal mondo per 4 giorni ormai 56 anni fa.

Erano le ragazze e i ragazzi della beat generation con capelli lunghi e barbe contestatrici che portarono badili, stivali, scorte di medicinali, viveri, materiali di primo soccorso e speranze, e diedero poi vita anche alle nostre grandi associazioni di volontariato.

Lavorano con i fiorentini al freddo e nel fango e nell’acqua mista a nafta, puzzolente di deiezioni, tra carcasse di mucche e maiali trasportate dall’acqua, alberi sradicati dalla furia in piena che aveva travolto tutto a 70 km all’ora sommergendo 3.000 ettari dell’area più estesa mai colpita dalle 180 alluvioni storiche dell’Arno, lasciando 35 morti, migliaia di feriti, 70.000 famiglie alluvionate, e nel fango circa 26.000 tra negozi, officine, fabbriche, laboratori, tipografie, botteghe artigianali, librerie, cantine. Iniziarono loro a spalare fango, a consegnare cibo e acqua, a salvare preziosi e antichissimi documenti storici dalla distruzione, a ripulire strade e cantine e appartamenti, ad aiutare gli anziani e i malati.

La città li accolse come poteva, tra case del popolo, parrocchie, sedi sindacali e di partiti. Alla stazione, su un binario morto, sei carrozze furono trasformate in un “Hotel su rotaie”, ma con c’era strada alluvionata, piazza, museo, chiesa, biblioteca dalle quali non uscivano infangati, stanchi ma sorridenti squadre di giovani volontari, le stesse immagini in bianco e nero dei giovanissimi volontari di Casamicciola. In centinaia fecero il miracolo alla Biblioteca Nazionale, formando lunghe catene umane e portando in salvo milioni di libri e preziosissimi materiali storici, affiancando poi anche i soldati di leva che man mano furono dislocati a Firenze.

E se qualcuno li guardava con diffidenza, mal sopportando quel vento nuovo che preparava anche le contestazioni del 1968, fu lo scrittore e giornalista fiorentino Giovanni Grazzini, che i suoi concittadini aristocratici conosceva assai bene, a coniare dalle pagine del Corriere della Sera del 16 novembre, l’espressione rimasta nella storia: “Catoncelli debitamente ipocriti, professionisti di cipiglio, ruderi di cartapecora. D’ora in avanti, che nessuno si permetta più di insultarli: sono stati degli Angeli, gli Angeli del fango”.

Gli “angeli” di allora e quelli di oggi sono il nostro avamposto morale, è l’Italia più bella che si mobilita senza pensare ad altro, sapendo che l’onorificenza massima per loro sarà magari solo un grazie di cuore. È l’anticorpo, l’antidoto alla lamentela e alla rassegnazione, e fortunatamente il nostro è un Paese anche pieno di storie positive di solidarietà. Abbiamo un esercito di volontari che costituisce un patrimonio unico fatto di circa 2.500 organizzazioni locali con oltre 1.300.000 volontari, con 60.000 di loro pronti a partire nell’arco di pochi minuti in caso di emergenza, e altri 300.000 a scattare poco dopo da una parte all’altra dell’Italia. Persone perennemente disposte a fare i conti con i bisogni concreti di aiuto, un serbatoio di energie positive che riscatta le pessime figure della cattiva gestione del territorio. E anche i giovani “angeli” della frana di Casamicciola, in questi giorni stanno portando in salvo anche qualcosa che fa bene alla nostra anima, e sono loro che ci dicono che è l’ora per lo Stato e per tutti noi cittadini di concretizzare tre parole sempre inutilmente promesse: manutenzione, cura del territorio, prevenzione. 

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