Regole Ue, chi tutela ​l'Italia in Europa

di Giorgio La Malfa
Martedì 14 Settembre 2021, 00:00
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I dati più recenti confermano che la ripresa economica italiana è molto consistente. Si parla di un aumento del reddito nazionale che potrebbe toccare il 6 per cento. Ma se c’è oggi una solida ripresa economica è anche per aver potuto usufruire della facoltà di aumentare il deficit pubblico derivante dalla sospensione delle regole del Patto di Stabilità decisa dall’Unione Europea nel 2020, all’indomani dello scoppio della pandemia. Quella decisione tempestiva ha permesso ai Paesi dell’Unione un ampio ricorso al debito pubblico per finanziare le misure di sostegno economico a favore delle categorie più colpite dall’emergenza sanitaria.

L’Italia si è avvalsa più di ogni altro Paese europeo di questa possibilità. In rapporto al reddito nazionale, il nostro debito pubblico è cresciuto in un anno di quasi venti punti. Una volta avviata la ripresa, non possiamo non porci il problema di ridurre progressivamente questa incidenza. Con il progressivo ritorno alla normalità, la Banca Centrale Europea ridurrà progressivamente i suoi interventi e quindi non sarà così automatica la possibilità di collocare il debito pubblico, mentre in seno all’Unione Europea bisognerà tornare a parlare del Patto di stabilità e delle regole che lo accompagnano, sospese fino alla fine del 2022.

Dunque se anche non volessimo pensarci noi, ci penserebbe l’Europa. È bene non farsi illusioni: le regole del Patto di stabilità in materia di finanza pubblica sono sospese non abolite in via definitiva. 

Sono regole che potranno essere ripristinate in tutto o in parte o modificate, tenendo conto che in queste materie per le modifiche è necessaria l’unanimità. 

Le grandi manovre sono già iniziate. La scorsa settimana, in vista della riunione informale dei ministri finanziari dell’Unione che si è tenuta venerdì e sabato in Slovenia, otto paesi cosiddetti rigoristi hanno indirizzato una lettera all’Ecofin sollecitando l’avvio di questa discussione. L’iniziativa è guidata dall’Austria e ha finora trovato il sostegno di Danimarca, Lettonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia. Nella lettera i firmatari si sono detti contrari all’idea di allentare le regole su deficit e debito pubblico e hanno dichiarato che “i trattati non si modificano”, pur aprendo a una possibile revisione delle modalità di applicazione.

Non vi è stato un comunicato ufficiale al termine della riunione.

Non si sa quindi se l’Ecofin abbia cominciato a parlare del Patto di stabilità, ma è molto probabile che questo sia avvenuto.

Da un resoconto molto accurato del Sole 24 Ore, a firma di Gianni Trovati e Beda Romano, vi sarebbero stati accenti molti diversi da parte dei due esponenti della Commissione intervenuti nella riunione. Paolo Gentiloni avrebbe messo in guardia contro il rischio di ritornare a regole così rigide da far crollare del tutto gli investimenti pubblici, come avvenne dopo la crisi del 2008. A sua volta, Valdis Dombrovskis, Vicepresidente della Commissione, notoriamente in sintonia con le idee dei cosiddetti frugali, avrebbe maliziosamente fatto presente che, qualora non vengano modificate – il che richiede l’unanimità - tutte le vecchie regole, per noi indigeste, tornerebbero in vigore dall’inizio del 2023.

Come scritto nei giorni scorsi sul Mattino, l’Italia non può illudersi che in futuro non ci saranno regole vincolanti sul debito pubblico. Possiamo cercare di ottenere regole sensate e graduali nella loro applicazione. Ma non potremmo non tornare a prestare l’attenzione dovuta alla finanza pubblica E soprattutto dovremo accingerci ai negoziati con realismo. 

La discussione avrà luogo essenzialmente nel corso del prossimo anno. Da questo seguono due conseguenze di carattere politico. La prima è che sarebbe una follia trovarsi in una fase di transizione politica mentre si svolge questa discussione: chiunque parli o pensi a elezioni anticipate da tenersi nel 2022 dimentica o volutamente ignora che questo implicherebbe che non avremmo alcuna possibilità di incidere nelle decisioni europee e torneremmo a essere, come spesso siamo stati, irrilevanti nel processo decisionale e spesso vittime delle conclusioni prese senza una nostra efficace partecipazione.

La seconda conseguenza politica è che abbiamo bisogno del massimo di autorevolezza in Europa per affrontare questa discussione. Qualcuno pensa che vi sia una formula di Governo diversa dall’attuale capace di dare all’Italia il peso necessario nelle trattative europee? Il Governo Draghi non solo non ha alternative da qui al 2023, ma, se le forze politiche, avranno saggezza, proseguirà anche oltre questa data.
 

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