Una centrale di spesa per non sciupare i fondi europei

di Giorgio La Malfa
Venerdì 14 Agosto 2020, 00:00
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Ci sono due modelli possibili per la redazione del progetto italiano di utilizzo dei 200 miliardi di euro del fondo che l’Europa ci ha assegnato e, poi, per la realizzazione dei programmi di investimento finanziati su quel fondo. Uno è quello di sollecitare le amministrazioni pubbliche a presentare programmi anche in base alle grandi priorità indicate dall’Europa: economia verde, digitalizzazione dell’economia e della Pa, resilienza (che non è chiaro che cosa voglia dire) e così via.

Qui si tratterà di decidere quali amministrazioni pubbliche siano autorizzate a presentare progetti e quali no: potranno farlo solo i ministeri o anche le Regioni o i grandi Comuni? E gli altri Comuni? E altre autorità pubbliche, ad esempio le autorità portuali o le ferrovie?

Fatto questo in una sede politica, che il governo per ora ha identificato nel comitato dei ministri degli affari europei, il Ciae, si procederà a ripartire i fondi fra i richiedenti e ad assegnarli con l’invito a procedere alla realizzazione di tali progetti nei tempi più brevi possibile.

Il secondo modello segue una logica completamente diversa. Assegna al governo la definizione nell’ambito delle direttive europee dell’assegnazione delle risorse: quanto per l’economia verde, quanto per la digitalizzazione, quanto per il Sud è così via. E affida integralmente il fondo a un ente pubblico creato appositamente per quest’opera, basato su regole semplici e trasparenti e affidato a una personalità che possa godere, per le attività svolte e per il prestigio di cui gode in Italia e in Europa, della fiducia non solo delle forze politiche ma anche dell’opinione pubblica.

Sulla scelta fra queste sue strade si sarebbe dovuta svolgere un’ampia consultazione degli esperti da parte del governo e un approfondito dibattito parlamentare nel quale coinvolgere pienamente e ricercare il contributo dell’opposizione.

Il Presidente della Repubblica, nel sottolineare il rischio di «un assalto alla diligenza» e nell’auspicare «concretezza, trasparenza ed efficacia» ha fatto la sua parte per contribuire a sottolineare l’importanza di compiere la scelta organizzativa migliore.

Quale dei due modelli risponderebbe meglio alle nostre esigenze, alla migliore utilizzazione delle risorse europee è evidente. E gli articoli apparsi in questi giorni in occasione del settantesimo anniversario della costituzione della Cassa per il Mezzogiorno - con interventi del ministro Provenzano, l’articolo di Romano Prodi di domenica sul Mattino e sul Messaggero - fanno pendere la bilancia a favore del «modello Cassa». Certo per una classe politica a caccia di risultati elettorali, in una stagione difficile, di grandi preoccupazioni per i cittadini, una grande disponibilità di fondi può apparire come una possibilità di soddisfare le preoccupazioni a mano a mano che esse si manifestano.

Ma è questo ciò che ha voluto fare l’Europa? E, soprattutto, è questo ciò di cui ha bisogno l’Italia? A questo forse potevano servire i decreti per l’emergenza anche se essi sono stati scritti abbastanza sciattamente da consentire che se ne avvalessero anche quelli che meno ne avevano bisogno. Ma il Next Generation EU deve consentire la solida ripresa dell’Italia dopo anni di stasi e di deterioramento economico. Richiede un grande salto di qualità alla classe politica e di governo. I segnali non sono incoraggianti ma il tempo e la possibilità di far bene ci sono. Serve l’ambizione di fare bene: l’Italia poverissima, uscita dalla dittatura, e da una guerra in cui la dittatura l’aveva gettata, seppe rispondere in modo adeguato fino a fare dell’Italia uno dei protagonisti economici della seconda metà del Novecento. Oggi serve la stessa ambizione, la stessa lungimiranza di allora.

 
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