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Il Paese che teme ​la neve (e il vento)

di Andrea Di Consoli
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 24 Gennaio 2023, 00:00 - Ultimo agg. : 06:21
4 Minuti di Lettura

Un Paese allarmato dalla neve, terrorizzato dal vento, preoccupato per il gelo. L’Italia del 2023 sembra profondamente disconnessa dalla natura, dalla storia, dalla poesia. Sindaci e autorità pubbliche si affrettano in questi giorni a chiudere le scuole per la neve e il vento.

Si sono contati feriti, per fortuna pochi, e danni a pullman e auto; in fiamme un appartamento e un negozio. E questo mentre alcuni network televisivi trattano le nevicate di questi giorni come un’emergenza nazionale.

Nessuno vuole negare che il nostro sia anche un Paese con fragilità idrogeologiche, con fatiscenze immobiliari del patrimonio pubblico e con povertà esposte ai rischi del freddo. Ma da qui a vivere allarmisticamente eventi naturali che avvengono da milioni di anni – appunto, vento e neve – ce ne corre. Evidentemente questo atteggiamento svela qualcosa di profondo della nostra attuale disposizione piscologica e culturale. 

Per millenni le abbondanti nevicate sono state vissute con pazienza, naturalezza, finanche con gioia, soprattutto da parte dei più piccoli. Perché la neve significava anche gioco, divertimento, sospensione, poesia. Oggi invece si tende a entrare nel panico, ci si sente isolati, soffocati, menomati. È come se l’ossessione di essere “connessi” impedisca qualsiasi forma di isolamento, di attesa, di solitudine. Tanto che è tutto un fioccare di lamentele per gli inevitabili disservizi che si creano in simili circostanze, anzitutto ritardi degli spazzaneve e disagi temporanei alle linee elettriche e telefoniche. 

In un simile quadro di infragilimento antropologico, anche le autorità pubbliche, terrorizzate da eventuali cause o indagini giudiziarie, preferiscono essere caute, firmando immediatamente ordinanze di chiusure delle scuole. Così avallando un’ideologia, ormai dilagante, della paura, un’idea della vita da epurare di ogni imprevisto, di ogni rischio, di ogni errore, di ogni disagio – e tutto questo attraverso uno Stato che legifera praticamente su tutto, addirittura su aspetti infinitesimali della realtà. 

Poco fa, in televisione, il testimone di una nevicata in un piccolo paese del Molise ha affermato che la situazione che stanno vivendo “è da Medioevo”, ma se davvero una nevicata fa saltare in questo modo i nervi degli italiani, allora probabilmente il vero Medioevo – visto che questa parola la si usa ancora in un’accezione negativa – è quello che stiamo vivendo adesso.

La conseguenza di questo panico di massa per ogni imprevisto sta di fatto affidando all’autorità statale poteri sempre più “totalizzanti”. Gli italiani hanno paura di sempre più cose, e questa paura sta costringendo lo Stato – che più che governare i cittadini li asseconda in una rappresentanza ormai osmotica – a misure-Xanax, ovvero a emanare ordinanze e leggi estremamente restrittive, prudenziali, cervellotiche. Ma l’effetto di queste misure-Xanax è un Paese sempre più impaurito, sempre più fragile, sempre più isterico. Un Paese totalmente annebbiato dalla convinzione che la natura si possa e si debba addomesticare attraverso la legge e la tecnologia. 

Il fatto è che un essere umano diventa fragile e svuotato di senso quando perde il contatto con la natura. Una cosa però è costruire case antisismiche per evitare danni eccessivi durante un terremoto, e altra cosa è considerare con panico e indignazione fenomeni normali come le nevicate e i venti forti. Al fondo c’è l’idea che le leggi e la tecnologia possano addomesticare la natura, e quindi ridurre al minimo il rischio di vivere. Ma questo tentativo ideologico di addomesticare la natura è solo un’illusione, e rischia di aumentare paure e delusioni. E nulla sgretola di più gli individui e le comunità della paura e della delusione, due morbi assai insidiosi. 

L’isteria sulla neve di questi giorni è la prova perfetta di quanto sia necessario in Italia un approccio critico verso la modernità. E di quanto sia importate riconnettersi con la parte più saggia e stoica della tradizione, ovviamente senza fatalismi e senza oscurantismi. Nessuno sostiene che un paese debba rimanere isolato per settimane a causa della neve – un’ambulanza avrebbe difficoltà a salvare eventuali pazienti con malattie acute –, ma nemmeno bisogna assecondare questa paura collettiva, questo panico di massa. Perché purtroppo le paure ne richiamano altre, innescando un meccanismo accumulatorio, a valanga. 

Questa modernità, inoltre, è intrinsecamente impoetica. Si parla tanto di green, di ecosostenibilità, di pensiero lento, ma sempre in un’accezione astratta, mai concreta. Ecco, s’inizi a riconsiderare le nevicate abbondanti e i venti forti come aspetti millenari del nostro paesaggio, finanche interiore. E si accetti un po’ d’incanto e di sospensione, perché questa cultura dell’allarme e della catastrofe non renderà più sicure le nostre anime, ma solo più fragili e impaurite. E, purtroppo, ridicole. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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