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Un Paese diviso da ricucire al più presto

di Gianfranco Viesti
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 26 Gennaio 2023, 00:00 - Ultimo agg. : 06:00
4 Minuti di Lettura

Un Paese con un elevato grado di decentramento verso regioni e comuni come l’Italia può funzionare bene, a vantaggio dei suoi cittadini, solo se si verificano tre condizioni: l’attribuzione dei poteri è chiara, ordinata, ragionevole; gli enti sub-statali dispongono di risorse sufficienti per far fronte alle proprie responsabilità; esistono indicatori che consentono di verificare il loro operato e, nel caso di inefficienze o incapacità, di intervenire con poteri sostitutivi. 

Non è quello che accade in Italia. Lo mostra chiaramente il caso delle amministrazioni comunali. I loro poteri sono piuttosto ben definiti, ma le risorse necessarie per esercitarli sono sia insufficienti che profondamente sperequate; e ciò determina gravissime iniquità fra i cittadini senza che nessuno intervenga per sanarle. Viene così meno il rispetto di fondamentali principi costituzionali.

I numeri disponibili sulle disponibilità di personale, in numerosità e in “qualità” (titolo di studio, anzianità, qualifica) dei cento maggiori comuni italiani lo mostrano con tutta evidenza. Negli anni Dieci sulle Amministrazioni Comunali è stata scaricata una quota rilevante dei tagli di spesa collegati alle politiche di austerità; è stato per anni imposto un blocco alle loro assunzioni, tanto che il personale totale si è ridotto nel decennio da 460.000 a 348.000. Le loro capacità di fornire servizi a imprese e cittadini e di realizzare investimenti ne hanno risentito. Ma, è questo il punto ancora più importante, già messo in luce in alcuni importanti contributi della Banca d’Italia, nello stesso periodo il loro meccanismo di finanziamento (che determina anche le possibilità di assunzione) si è distorto. Sono venuti meno i trasferimenti statali, ma le modalità previste per assicurare risorse comparabili ai comuni con una diversa ricchezza sono stati messi in atto malissimo e con colpevoli ritardi: si pensi che ancora oggi è previsto che il “Fondo di Solidarietà Comunale” vada a regime nel 2030, a tre decenni dalla riforma costituzionale. Questo ha prodotto un esito devastante per l’uguaglianza fra i cittadini.

La capacità di operare dei Comuni è divenuta assai diversa a seconda del loro livello di benessere: comuni con contribuenti più ricchi hanno più personale e maggiori capacità di fornire servizi. 

I dati resi disponibili in una ricerca realizzata per la Fondazione Con il Sud parlano da soli.

Tutti i comuni del Mezzogiorno (con alcune eccezioni come Cagliari o l’Abruzzo) sono nettamente più deboli, sotto il profilo del personale e quindi operativo, rispetto ai loro omologhi del Nord. Ma il tema riguarda anche, non a caso, importanti realtà del Centro Italia (come i grandi comuni laziali di Aprilia, Guidonia, Latina, Viterbo) e in più rari casi anche del Nord (Alessandria, Carpi, Imola). La dimensione dei divari è abissale: a Trieste ci sono 128 dipendenti comunali per centomila abitanti, a Taranto, città di simili dimensioni, 39.

Come si mostra nello studio, questo mette a rischio l’esecuzione stessa del Pnrr. Purtroppo, sono elevatissimi i rischi che a Napoli e a Catania, a Messina e a Reggio Calabria non si possano realizzare gli ingenti investimenti previsti. E, si ricordi, questo non è un problema solo per i loro abitanti ma per l’intero Paese: se parte del Pnrr non si realizza è l’Italia che ne paga le conseguenze nei rapporti con l’Europa. Appare urgentissimo, indispensabile un forte intervento di sostegno a queste amministrazioni da parte del governo Meloni, che rimedi alla colpevole disattenzione – da questo punto di vista – dell’esecutivo che l’ha preceduto. 

Questa vicenda ci ricorda quanto sia necessario un intenso lavoro per sanare le ferite prodotte dalla combinazione dell’austerità con gli attuali, distorti, meccanismi del decentramento italiano: è sull’ordinario che bisogna lavorare, in nome di principi condivisi di uguaglianza fra i cittadini e di responsabilità degli amministratori. Queste ultime possono e devono essere misurate, ma solo se essi hanno pari possibilità di intervento. E ci ricorda come le richieste di autonomia regionale differenziata, con un colossale e disordinato decentramento di poteri, meccanismi finanziari disegnati ad hoc (sul modello delle regioni a statuto speciale) e l’assenza di meccanismi di verifica dei diritti dei cittadini siano proprio la strada opposta a quella verso cui dovrebbe avviarsi l’Italia. Appare indispensabile ricucire pazientemente il Paese, attuando davvero la Costituzione; certamente non spaccarlo, strapparlo, ulteriormente, come avverrebbe certamente dando seguito alle richieste di differenziazione. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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