L’analisi: il governo
tra virus e rilancio

di Mauro Calise
Lunedì 12 Ottobre 2020, 00:00
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E adesso, al Recovery Fund chi ci pensa? Con i contagi che tornano a salire, l’allarme che diventa – quasi – rosso, e il dibattito pubblico che torna ad Amleto – lock-down si o no – mica va a finire che nessuno lavora più alla programmazione europea? O, peggio ancora, che viene messa la sordina a quel doverosissimo dibattito su come spenderemo il nuovo Piano Marshall del ventunesimo secolo? Il vero rischio politico è questo.

Diciamocelo con chiarezza. I pericoli sanitari del Covid - seconda o terza ondata che sia – ormai dovremmo essere in grado di conoscerli. E organizzarci per fronteggiarli. Se c’è bisogno di interventi restrittivi, si facciano. Mirati e misurati, come è augurabile che si riesca a fare dopo avere avuto quattro mesi per prepararci alla controffensiva. E anche, se proprio dove essere indispensabile, più ampi e generalizzati, per aree territoriali critiche e per settori non strategici. Quale, però, che sarà la portata delle nuove restrizioni, un punto va tenuto fermo. La politica delle chiusure deve viaggiare di pari passo con quella delle – nuove – aperture. Altrimenti, il paese non regge. Non può esserci una nuova emergenza senza che sia accompagnata dalla ferma visione – e sensazione – che stiamo mettendo mano finalmente alla ricostruzione. Le azioni e i messaggi devono procedere di pari passo. La richiesta dei sacrifici e gli orizzonti dei benefici. L’inevitabile penalizzazione di alcune categorie professionali e commerciali che già si intravede ad horas deve essere accompagnata da progetti di riconversione e proiezione. Che diano la certezza che non stiamo più solo cercando di sorreggere la diga dell’antivirus, ma stiamo mettendo in campo la svolta che abbiamo promesso da mesi al Paese, e all’Europa. Un elemento – si fa per dire – di conforto è dato dalla constatazione che gli altri partner dell’Unione non stanno messi – al momento – meglio. Numero dei contagi alla mano, i confronti sono a nostro favore in moti casi, e perfino rispetto alla Germania non facciamo brutta figura. Ma sarebbe un abbaglio illudersi che – come è accaduto in primavera – la partita si giocherà soprattutto sul confronto tra contagiati, guariti, ricoverati e deceduti. L’ondata di paura emotiva che ha governato l’agenda politica – e le reazioni dell’elettorato – durante la fase uno, si è esaurita. Pensare di riproporla – fosse pure maledettamente necessaria – è un’illusione. Lasciamo stare i negazionisti convinti, che restano una sparuta minoranza. Ma in America, metà elettorato continua a pensare che la sfida al virus si possa vincere a volto scoperto, e che un leader spregiudicato come Trump – colpevole di una carneficina annunciata – vada rieletto di gran carriera. E non è – solo – per ignoranza. È per la convinzione radicata che – anche di fronte a un flagello epocale – è meglio cavarsela da soli. E del governo ci si può solo fidare se toglie lacci e lacciuoli e lascia fare, al diavolo se i più anziani e i più deboli rischiano di rimetterci la pelle.
Questo spirito americano non ha – fino ad oggi – attecchito in Europa. In parte per la capacità di risposta, tardiva ma generosa ed efficace, delle istituzioni sanitarie statali. In parte per la fiducia riposta nella promessa di investimenti cospicui, capillari e innovativi per rimettere in carreggiata l’economia, e i posti di lavoro. Questa promessa va mantenuta. E, forse ancora più importante, va tenuta in testa all’agenda mediatica di queste settimane. Guai se dovessimo tornare a fare ruotare tutto e tutti sui bollettini pomeridiani del Covid, peraltro ancora stilati col solito pressapochismo statistico che non riesce – dopo cinque mesi! – a dare una fotografia commensurabile dei trend e delle variabili chiave. Si lasci il compito di monitorare e comunicare l’emergenza virus a Speranza, che ha mostrato – in questa vicenda – doti di equilibrio e, al tempo stesso, di sincera passione politica. Mentre Conte, Gualtieri e Amendola tengano informato il paese – con la medesima puntualità dei bollettini della paura – sul bollettino della speranza. Che resta il sale della politica. E della loro sopravvivenza.
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