L'autunno dei diritti non toccherà l'Europa

di Mauro Calise
Domenica 26 Giugno 2022, 22:45 - Ultimo agg. 27 Giugno, 06:00
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Il colpo per le donne è durissimo. Un salto indietro di mezzo secolo. Un inferno di sofferenze e vite prigioniere di un destino non più libero, ma imposto per legge. Oltre al risultato immediato della scelta della Suprema Corte americana, c’è – ancora più fosco – lo scenario politico dove è maturato. Uno scenario in cui è messa in discussione una intera stagione democratica, la stagione in cui i diritti sono stati il lievito e il principale parametro di ogni progresso civile. 

L’attacco alla democrazia dei diritti rischia di infiammarsi in America e coinvolgere rapidamente l’Europa. Perché mette in corto circuito motivazioni sociali profonde con le fragilità istituzionali che minano i sistemi politici al di là e al di qua dell’Atlantico. 

Lo strapotere della Corte suprema è una anomalia che affonda le radici nella diffidenza dei Padri fondatori verso il mandato popolare, delle Camere come del presidente. Si tratta di una eredità settecentesca incomprensibile nel contesto attuale. Con le democrazie che faticano a convincere gli elettori a votare, come si fa a digerire l’idea che un gruppetto di uomini di legge possa fare e disfare la tela delle libertà fondamentali? Per quanto ci si possa sforzare di difendere il tanto decantato sistema di divisione dei poteri e pesi e contrappesi con cui l’America ha funzionato finora, un primo risultato inevitabile sarà l’allontanamento e il rifiuto, soprattutto di donne e giovani, di una politica che può produrre un risultato così aberrante. E, purtroppo, siamo solo all’inizio.

La giovane età dei membri della Corte nominati da Trump a una carica che dura a vita non lascia margini di illusione sulla piega ultraconservatrice cui assisteremo nei prossimi anni, anzi decenni. Una piega che trova una sponda solida e tempestiva nella linea dei parlamenti statali, che già si sono mossi numerosi ad anticipare le misure che la Corte ha ora reso legittime. È inutile farsi illusioni. Il blocco ideologico che Trump, in soli quattro anni, ha cementato va ben oltre il suo fondatore, ed è ormai un dato permanente della scena statunitense. La domanda non è se durerà. Ma quali saranno le tappe, i nuovi bersagli di questa crociata anti diritti. In che misura sarà possibile contenere la sua espansione. È qui che entra in gioco l’Europa.

Prevarrà il contagio o il rifiuto? Ci sono ancora – per nostra fortuna – profonde differenze tra il populismo made in Usa e quello che si sta riorganizzando – dopo la crisi pandemica – dalle nostre parti.

La principale riguarda il legame tra elite e ceti sociali svantaggiati. L’aspetto più pericoloso del fenomeno americano è la saldatura – per molti versi paradossale – tra gli ultraprivilegiati ed ultraricchi con il magma protestatario che include buona parte della working class e le schiere dei piccoli imprenditori e agricoltori messi a rischio dalla globalizzazione. Una saldatura che può anche avvalersi di un pedigree culturale di rispetto, rispolverato da una lunga tradizione e radicalizzato per l’occasione. In Europa, questo mix micidiale di strateghi – e quattrini - reazionari e masse di manovra incolte non c’è, e non si intravede all’orizzonte.

Al contrario, cinque anni fa, l’establishment finanziario francese ha creato in pochi mesi l’antidoto alla vittoria della Le Pen, dando vita – e risorse – a Macron e al suo movimento. E all’idea che un rampollo delle banche potesse ergersi addirittura ad araldo di una «rivoluzione in marcia». In forme diverse ma con analogo risultato, l’Italia, sull’orlo della bancarotta economica, è riuscita a evitare che tornassero a saldarsi le spinte antisistema mettendo a custode della nostra tenuta democratica un supertecnico della finanza globale. Appoggiato con pari convinzione dal centrodestra come dal centrosinistra.

Certo questo quadro rimane, per molti aspetti, precario. E i risultati delle legislative in Francia mostrano che la partita è ancora aperta. Soprattutto se si estende lo sguardo ai paesi dell’Europa orientale, dove – consacrati dal voto – si moltiplicano i regimi autoritari, e spesso apertamente fascisti.
Anche in quel caso, però, non si registra la saldatura tra élite e populismo.

L’obiettivo, purtroppo, è il medesimo: scardinare la democrazia dei diritti. Ma dobbiamo essere orgogliosi che, da questa parte dell’Atlantico, questo obiettivo è considerato illegittimo dalle nostre classi dirigenti che – abbienti o meno abbienti – restano ancorate ai valori del costituzionalismo liberale. È una bandiera fondamentale, ma che non va data per scontata. Ed è bene abituarci all’idea che, per continuare a farla sventolare, non possiamo contare sull’aiuto dei nostri cugini americani.

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