L'ex capo di Stato maggiore Arpino: una missione a Tripoli potrà sfociare nei combattimenti

di Ebe Pierini
Giovedì 7 Gennaio 2016, 23:35 - Ultimo agg. 8 Gennaio, 00:04
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La situazione in Libia è sempre più critica. Il generale Mario Arpino, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, analizza l’eventualità sempre più concreta di una missione militare in quel Paese.
Ritiene che un intervento militare in Libia sia improcrastinabile?
«Noi italiani ci siamo proposti con entusiasmo ma anche in modo un po’ incauto di guidare una eventuale missione. In effetti chi meglio di noi può farlo dati i nostri legami con quel territorio? Gli ingredienti per una missione ci sono tutti: una risoluzione dell’Onu, un governo libico unitario che si sta formando e una richiesta da parte della Libia non arrivata ufficialmente ma che possiamo dedurre dall’incontro che il premier Renzi ha avuto con il primo ministro libico Al Serraj. Credo che le Forze Armate italiane comunque abbiano già effettuato una pianificazione».
C’è chi parla di attuare una soluzione del tipo di quella che si è applicata a suo tempo in Iraq o in Libano anche per la Libia. Cosa ne pensa?
«Ritengo che nè la soluzione irachena, né la soluzione libanese siano applicabili. Occorre una soluzione libica. La Libia in comune con l’Iraq ha solo la presenza del terzo incomodo, l’Isis. Si deve comunque evitare l’errore che fu fatto in Iraq con l’incapacitazione degli ufficiali legati al precedente regime. Per quanto riguarda il raffronto con il Libano va evidenziato che lì un esercito unitario esiste a differenza di quel che accade in Libia. Poi sussiste una differenza geografica. Mentre in Libia gli 11milia uomini del contingente Unifil sono dislocati su un’area limitata la Libia ha 1600 chilometri di costa e si estende su un territorio vastissimo».
Nei giorni scorsi il Mirror ipotizzava la costituzione di una coalizione di 6.000 uomini a guida italiana. Sono sufficienti? Da chi sarà composta?
«Sarebbero necessari almeno centomila uomini se consideriamo il numero delle forze necessarie in proporzione al territorio della Libia. Della coalizione faranno parte sicuramente inglesi, francesi e americani ma l’Italia potrebbe avere sotto il suo comando anche truppe dell’Unione Africana che potrebbero darci qualche problema in termini di affidabilità. Di sicuro gli inglesi chiederanno di attestarsi sul versante egiziano mentre i francesi opteranno per la parte occidentale, a partire dalla Tunisia in avanti. L’Egitto ha tutto l’interesse ad evitare che l’Isis sconfini nel suo territorio per cui preferirà combatterlo in Libia».
L’Italia quanti uomini e quali mezzi potrà inviare?
«Non possiamo prescindere dal fatto che l’Italia è già impegnata in diversi altri teatri operativi e che abbiamo promesso altri addestratori anche all’Iraq. Non credo che gli italiani saranno molti anche se il comando spetterà a noi. Solo se ritirassimo tutti i militari che sono attualmente impiegati all’estero e nelle operazioni in Patria potremmo disporre di diecimila uomini. Ma per un tale numero di militari impegnati in missione ce ne vogliono altri 40mila operativi tra quelli in approntamento e in esercitazione per il necessario ricambio. Per quanto riguarda i mezzi di sicuro saranno utilizzati i Predatori ma anche velivoli radar, tanker per i rifornimenti, Tornado o AMX«.
Ci limiteremo a formare l’esercito libico o sarà una missione di combattimento?
«All’inizio non sarà una missione combat e dovrà prevalere il fattore addestrativo. Il problema è però rappresentato dallo Stato Islamico con il quale non si può venire a patti e che pensa di far divenire la zona di Sirte una sorta di santuario dopo le perdite che gli hanno inflitto curdi e russi in Siria ed Iraq. Per questo occorrerà circoscrivere l’Isis e combatterlo lì. Non è quindi una missione combat nelle intenzioni di nessuno ma può diventarlo».
 
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