L'illusione di voler capire tutto e subito

di Edoardo Boncinelli e Maurizio Bifulco
Lunedì 6 Dicembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 7 Dicembre, 06:00
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Da qualche decennio è venuto di moda parlare di complessità, concetto non facile da definire ma che riguarda buona parte delle cose del mondo. E il mondo stesso, ovviamente. Su questo tema s’è detto molto, ma non sempre chiaro e illuminante. Dire che un argomento è complesso ha significato spesso in passato crearsi un alibi per lavarsene le mani.

Questo oggi non è più tollerabile e si moltiplicano gli sforzi per penetrare costruttivamente la complessità, come dimostra fra le altre cose l’assegnazione del premio Nobel per la fisica al nostro Giorgio Parisi, che non si mette paura di affrontare le evoluzioni e le turbolenze di un volo di uccelli migratori.

Con la parola complesso, da cum+plècto ovvero tessuto insieme, si intende un sistema, in genere non lineare, composto di molti elementi collegati tra loro e dipendenti uno dall’altro; un sistema non facilmente riducibile, poiché l’insieme è superiore alla somma delle parti, né ripetibile a piacimento, senza più nessun rapporto di causa-effetto; diversa dal termine complicato, cum+plico, con piegature, con cui si fa riferimento a un sistema scomponibile nelle sue parti lineari, ripetibile, con un rapporto di causa-effetto, che è anche possibile “s-piegare”, anche se con grande cautela. Al contrario semplice, da sine+plico, ovvero senza pieghe, è un fenomeno o un sistema ripetibile, con un chiaro rapporto di causa-effetto.

Semplice e complesso non significano facile e complicato: il loro senso è piuttosto non spiegabile, non scomponibile. D’altra parte la scienza, che da sempre ha cercato di scomporre il mondo in parti semplici, si basa ormai sull’assunto che capire le parti è a volte cosa ben diversa dal capire il tutto. Un sistema complesso, dunque, non è un banale accostamento di parti semplici, è un sistema dinamico costituito di molte parti di dimensioni diverse, legate in qualche maniera tra di loro, la cui evoluzione non può essere compresa attraverso l’osservazione delle singole parti che lo compongono. Il fatto più importante è che un sistema complesso mostra alcune proprietà non derivabili in maniera semplice da quelle delle sue singole parti. Tali proprietà sono anche dette “emergenti”. Quasi tutto quello a cui diamo valore nella vita si identifica con una serie di proprietà emergenti: essere liquida e bagnare è una proprietà emergente dell’acqua derivante dal mettere insieme un altissimo numero di molecole di H2O e la mente è una proprietà emergente del funzionamento coordinato di un certo numero di cellule nervose. Questo è lo stimma della complessità.

Quasi tutti i processi reali sono complessi, ma quelli che vengono subito alla mente sono le condizioni del tempo atmosferico, il decorso di una malattia, la diffusione di un’infezione, il successo della vendita di un oggetto, l’andamento dei titoli di borsa e via discorrendo.

Si tratta di tutti fenomeni dei quali è relativamente chiaro l’oggi ma non il domani, anche molto vicino. Si tratta però anche di fenomeni del massimo interesse, ai quali non si può proprio rimanere indifferenti. 

L’uomo pensa e crea oggetti semplici, cerca ovunque la semplicità, ma guardandosi intorno scopre la complessità. E allora? Che cosa si inventa? Inventa la facoltà di rintracciare qualche elemento di semplicità in tutta questa complessità. Tutto è complesso ma tutto contiene in sé i germogli della semplicità. Basta trovarli. E come fa?

Innanzitutto evitando di aumentarne la complessità. Per esempio mettendo a frutto quello che viene generalmente chiamato “rasoio di Ockham”, cioè il principio che sconsiglia vivamente di non aumentare più del necessario il numero delle entità coinvolte in un fenomeno. La scienza fa quasi sempre così, ma non solo. Da un paio di secoli cerca anche di scomporre il fenomeno da studiare nelle sue parti costitutive, effettivamente costitutive, non fittiziamente. L’operazione così condotta prende il nome di riduzionismo, uno dei concetti meno amati e dati continuamente per morti.

L’annosa disputa tra il tutto e le parti rimane irrisolta, ma il procedimento essenziale di Ockham trova spazio anche nel mondo dell’istruzione, con la convinzione dei più che l’unione del pensiero umano al sistema informatico aiuti a sviluppare competenze da applicare anche nella vita di tutti i giorni. A differenza di una persona qualunque, l’informatico usa la logica, scompone un problema complesso in tanti sottoproblemi per risolverli più facilmente, utilizza le previsioni per situazioni simili che possano intravedere soluzioni analoghe. Imparare a programmare, dunque, piuttosto che solo effettuare, lo stretto numero di mosse necessarie, aiuterebbe a sviluppare la capacità di trovare la soluzione migliore per raggiungere un traguardo e di costruire schemi codificati risolutori. 

In questo senso un’altra possibile chiave interpretativa della complessità ci viene fornita dalla teoria della semplessità di Alain Berthoz, intesa come un insieme di principi esemplificativi, atti non tanto a semplificare un sistema, quanto a decifrarlo e a rendere la sua decodifica trasferibile ad altri contesti. Insomma, il mondo è complesso ma a noi piace capirlo, se non spiegarlo. Fare finta cioè che sia semplice, o più semplice, e alla nostra portata. A noi ci è sempre riuscito a patto di non essere frettolosi e superficiali. Capire si può, ma non tutto e subito!

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