L'ondata di crisi che cambia le nostre abitudini

di Francesco Grillo
Mercoledì 28 Settembre 2022, 23:47
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Non è del tutto vero che con il Covid 19 sia avvenuta la prima massiccia interferenza dello Stato con la libertà dei cittadini di muoversi. Nel novembre del 1973, il quarto governo italiano presieduto da Mariano Rumor varò misure draconiane: durante i fine settimana nessuno poteva far uso di automobile e si precisò che le multe – un milione di lire e il sequestro dell’autovettura – avrebbero colpito, persino, eventuali ministri inadempienti.

L’“austerity” di mezzo secolo fa ricorda l’autunno che ci aspetta anche per le cause che scatenarono quella crisi: Israele attaccato da un’alleanza che metteva insieme tutti i vicini arabi, reagì occupando il Sinai e il Golan; la contromossa fu il blocco delle forniture di petrolio all’Occidente che portò l’inflazione fuori controllo e alla prima recessione dopo anni di miracoli economici. Quanto può essere importante – oggi, dopo mezzo secolo – il risparmio come leva per rispondere alla crisi energetica? Il piano che l’Europa e l’Italia hanno presentato subito prima e subito dopo l’estate sembra affidata ad automatismi difficilmente controllabili e ad azioni di comunicazione. C’è il rischio di perdere l’occasione di trasformare l’emergenza nell’opportunità di esprimere una strategia.

Il ministero che dovrebbe accompagnare la transizione ecologica (Mite) ha varato a inizio settembre un piano di contenimento dei consumi del gas che deve rispondere al taglio brutale che la guerra comporta: la Russia, nel 2021, copriva il 40% circa del consumo finale di gas in Italia (29 miliardi di metri cubi standard – Smc – su 76). Il piano prevede che la metà delle importazioni russe siano sostituite – entro il 2023 – da forniture da altri Paesi (innanzitutto dall’Algeria) e che per un altro 15% siano rimpiazzate da produzione interna di gas e di altri combustibili fossili. Minore sembra essere la fiducia del governo che le energie rinnovabili possano fornire un contributo immediato (ci si aspetta che possano fornire entro il prossimo anno l’equivalente di circa 2 miliardi di metri cubi di gas in più). E, infine, si punta a risparmiare 3,3 miliardi di gas attraverso tre riduzioni obbligatorie del riscaldamento: della temperatura di un grado negli immobili; della durata dell’accensione giornaliera di un’ora; e del periodo annuo di funzionamento degli impianti di quindici giorni. 

È un piano allineato al regolamento europeo varato al Consiglio europeo di fine luglio sulla sicurezza energetica dell’Unione e che, però, presenta almeno tre problemi (pur prescindendo da una non sufficiente ambizione sulle rinnovabili). Il primo è che non elimina l’intero divario tra offerta e domanda che un azzeramento delle forniture russe aprirebbe e che, comunque, verrebbe realizzato (entro il 2023) non in tempo per scongiurare l’emergenza entro il prossimo inverno. Il secondo è che non si coglie l’occasione di varare una strategia complessiva di risparmio energetico: il titolo stesso parla di riduzione dei consumi del solo gas (è urgente tagliare anche quello di petrolio) e, peraltro, le misure si riducono, ulteriormente, a ragionare solo di gas per riscaldamento, tralasciando che il gas viene consumato in misura maggiore per erogare elettricità.

Il terzo, più grave, è che si perde l’opportunità di creare incentivi al contenimento dei consumi che premino l’innovazione che il risparmio richiede e che la crisi può fortemente spingere. In realtà, invece, come dimostra il grafico che accompagna l’articolo, non è vero che per crescere bisogna consumare più energia. 

Le tariffe che oggi paghiamo per metro cubo di gas o per chilowatt di elettricità (o, anche, per litro di acqua) non cambiano, in realtà, al variare dei consumi. Ciò succede per il mercato “tutelato” che è regolato dall’agenzia di regolamentazione Arera; ma anche in quello “libero” che lo sta sostituendo. E ridotte sono le differenziazioni del costo per riscaldare una casa vuota (gli sprechi valgono un terzo delle bollette) rispetto a quelli, ad esempio, di un ufficio a pieno regime. In questa situazione, le razionalizzazioni finiscono per essere interamente affidate a misure di contenimento obbligatorie (anche se ci sono dubbi su come si possa controllare la temperatura delle case) o, al contrario, blandamente affidate a campagne di comunicazione. 

Il risparmio deve, invece, diventare leva strategica capace di incidere sull’intero consumo di energia fossile. E deve passare dal mercato. Le tecnologie di produzione e erogazione distribuita di energia – rese possibili principalmente dal fotovoltaico e dalle nuove tecnologie di trasmissione (Ders) – permettono di differenziarne il prezzo in funzione di obiettivi di transizione. Pur senza arrivare, però, ad un utilizzo più sensato dei prezzi come segnale che orientino tutti – famiglie e grandi fabbriche energivore - verso nuove frontiere dell’innovazione, sarebbe sensato cominciare a favorire l’introduzione di bollette che premino chi risparmia rispetto a ciò che consumava in passato e penalizzino chi non cambia abitudini. Non meno efficace sarebbe coinvolgere i Comuni in un’azione di mobilitazione delle proprie comunità locali: andrebbero supportati - con ulteriori investimenti - i sindaci che dimostrino, in maniera misurabile, di essere all’avanguardia in quella che è una battaglia decisiva (laddove, il Pnrr non riesce a fare questa distinzione).

Nel 1973, i divieti di circolazione delle automobili furono accompagnati da un movimento che fece scoprire agli italiani la possibilità di tagliare consumi inutili e alla nascita di quell’ondata di innovazioni che, ancora, chiamiamo “domotica”. Il risparmio sui consumi di energia non può essere solo la risposta ad un’emergenza. In attesa della prossima crisi. E anzi della crisi abbiamo il dovere morale di usare l’unico aspetto positivo che essa comporta: quello di costringerci a rivedere modelli di produzione e di consumo che rubano futuro senza, neppure, creare vantaggi per chi spreca pigramente.
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