La corsa ai sussidi
senza investimenti

di Nando Santonastaso
Mercoledì 19 Settembre 2018, 22:59
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Se si volesse misurare l’attenzione allo sviluppo del Mezzogiorno nell’ormai imminente legge di Bilancio 2019 in base alle quotidiane fibrillazioni della maggioranza di governo, si dovrebbe essere più che pessimisti. Perché se il nocciolo della manovra in chiave Sud rimane l’attuazione intera o parziale del Reddito di cittadinanza, difeso a spada tratta dal Movimento 5 Stelle, se ne dovrebbe dedurre che la montagna (ammesso che la si possa definire così) partorirà un topolino. Con l’aggravante, sottolineata peraltro da economisti e studiosi tutt’altro che schierati, che il solo eventuale ricorso a norme assistenzialistiche non solo può mettere a rischio i conti pubblici ma anche rivelarsi inefficace sul piano strettamente economico. Nessuno è in grado ad esempio di capire se e quante opportunità di lavoro potrebbero essere proposte a chi beneficerà dell’assegno di sussidio: in una parte del Paese nella quale la disoccupazione soprattutto giovanile scende a fatica nonostante sgravi e incentivi ad assumere di ogni tipo, il rischio del flop è dietro l’angolo.
Ma il vero punto che dovrebbe preoccupare i meridionali, a qualsiasi partito o movimento essi appartengano, è un altro: è il sospetto, che per molti è già una certezza, che la manovra non indicherà nel rilancio degli investimenti pubblici la vera e forse unica priorità per il rilancio di questa parte del Paese. Proprio quella, paradossalmente, che ne avrebbe un disperato bisogno dopo avere pagato il prezzo più alto alla crisi, tanto è vero che non riesce ancora a recuperare i livelli di Pil e di occupati del 2008. Pensare, a prescindere persino dal divario, che il Mezzogiorno possa avere soddisfacenti margini di competitività e attrattività economica senza il pieno, convinto e costante coinvolgimento del capitale pubblico è pura follia. La storia di questi ultimi, durissimi dieci anni insegna che è stato soprattutto il capitale privato a evitare che la recessione si trasformasse in una condanna senza appello. E inoltre che senza la spesa dei tanto vituperati fondi strutturali, tra risorse europee e Fondi sviluppo coesione, sarebbe stato impossibile persino coprire una fetta almeno della spesa ordinaria (per informazioni rivolgersi ai sindaci dei Comuni meridionali). 
Sconcerta perciò non poco continuare da un lato a leggere dichiarazioni di esponenti di governo che ribadiscono l’ormai arcinota centralità del Sud, e dall’altro a constatare che in realtà la partita ruota sempre e soltanto attorno al Reddito di cittadinanza. Dimenticando, purtroppo, che anche misure importanti come la riserva del 34 per cento della spesa ordinaria di tutti i ministeri in favore del Sud o il bonus assunzioni al 100 per 100, che pure il Movimento 5 Stelle dimostra di voler attuare, rischiano di non produrre alcun effetto concreto: senza investimenti certi e costanti, quella quota di risorse si ridurrebbe nei fatti a pochi spiccioli. E i posti di lavoro, privi di un contesto economicamente valido in termini di crescita, sarebbero sempre meno di quelli che occorrerebbero.
Ma c’è anche un altro sospetto su cui vale la pena di soffermarsi. Ed è la sempre più evidente accelerazione della spinta autonomistica cavalcata dalle Regioni del Nord. Non è solo un problema di funzioni e competenze sottratte allo Stato centrale in nome e per conto dell’assai discutibile primato dell’avanzo primario in campo fiscale. II fatto è che la rinuncia ad una politica di investimenti pubblici nelle aree più deboli sembra fornire l’alibi di un delitto perfetto. E cioè, io reinvesto al Nord tutto ciò che proviene dal locale gettito delle tasse, con la certezza da un lato che il ritorno in termini di efficienza e qualità farà bene a tutto il Paese e dall’altro che i sussidi alla povertà garantiranno comunque maggiori consumi al Sud. Visione a dir poco miope e, appunto, pericolosa. Perché è ormai dimostrato che il Mezzogiorno è uno dei fondamentali sbocchi del mercato delle aziende del Nord: l’interdipendenza è tale che ogni 100 euro investiti (non solo spesi) al Sud, ne “tornano” 40 al Settentrione. E come se non bastasse, tutte ma proprio tutte le analisi economiche indicano nel Meridione l’unico territorio in cui si può oggettivamente garantire un margine serio e duraturo di crescita all’Italia. Continuare ad ignorarlo per piegare la manovra a calcoli elettorali e assistenzialistici, peraltro in tempi che annunciano una nuova probabile recessione alle porte, non sembra davvero il massimo della lungimiranza politica. 
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