La giustizia sempre più lontana dai cittadini

di Carlo Nordio
Venerdì 21 Gennaio 2022, 23:33 - Ultimo agg. 22 Gennaio, 07:00
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All’inaugurazione dell’anno giudiziario, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha definito la riforma del Csm «necessaria e ineludibile». Sono parole dure e sacrosante, rese più severe dalla presenza del Capo dello Stato, che presiede il Csm, e dei titolari delle due massime cariche della Cassazione, che ne sono membri di diritto. E tuttavia neanche questa riforma sarebbe sufficiente a riportare tra i cittadini la fiducia nel nostro sistema giudiziario.

Un sistema che attualmente si avvia allo sfascio, e che nemmeno gli straordinari sforzi della pur bravissima Guardasigilli sembrano in grado di salvare. L’ultima prova di questa débacle è costituita proprio dal conflitto sorto tra lo stesso Csm e il Consiglio di Stato, che una settimana fa aveva dichiarato illegittima la nomina sia del Presidente della Cassazione, che ha officiato la cerimonia di ieri, sia della sua vice che gli sedeva accanto. Nomine che, secondo il giudice amministrativo, erano sorrette da una motivazione «irragionevole e gravemente carente»: un giudizio drastico, e quasi offensivo, che ci induce a tre considerazioni. 

Primo. Qui non si tratta del vecchio e annoso conflitto tra pretori di provincia sulla liceità del topless sulle spiagge. Qui abbiamo di fronte due organi essenziali del nostro sistema: quello che controlla i giudici, e quello che controlla l’amministrazione. Va detto che il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe godere di una sorta di supremazia, vista la sua rilevanza costituzionale e la sua prestigiosa composizione. Ma così non è . I suoi provvedimenti sono atti amministrativi, come tali impugnabili al Tar e successivamente al Consiglio di Stato, al pari della bocciatura di un alunno o della revoca di una licenza di caccia. In teoria il giudizio sulla loro validità dovrebbe limitarsi alla cosiddetta illegittimità, ma in pratica si estende al merito, cioè al loro contenuto. Nel caso in esame, definendo «irragionevole» la motivazione delle due nomine, il massimo organo della giurisdizione amministrativa ha rivolto al Csm le stesse censure espresse in varie altre occasioni, ultima quella per l’assegnazione della Procura di Roma al dottor Prestipino. In quel caso il Csm aveva riveduto il suo giudizio, ed aveva nominato il dottor Lo Voi. Ora invece ha insistito nella risoluzione precedente. E’ probabile che il caso ritorni ancora al Consiglio di Stato, e così via chissà per quanto tempo. Logorato da tanta sottigliezza, il paziente lettore avrà già perso il filo del discorso. Di sicuro ha perso gran parte di fiducia nel sistema. 

Secondo. Questo conflitto tra Csm e Cds non nasce da rivalità istituzionali.

Esso trae origine proprio da iniziative degli stessi magistrati. I giudici amministrativi infatti non procedono di ufficio, ma in quanto investiti di ricorsi da parte di concorrenti che si ritengono ingiustamente scartati. Nel caso di specie, un alto magistrato aveva impugnato le nomine degli altri due aspiranti, secondo lui meno titolati e meritevoli. A questo punto il cittadino, nella sua sgomenta rassegnazione, si domanda come sia possibile che i giudici facciano la guerra prima ai propri colleghi, e poi addirittura all’organo che li rappresenta e li tutela. 

E questo ci porta alla terza considerazione: che il Csm non è proprio quel consesso di impeccabili giuristi che abbiamo prima ipotizzato. Lo scandalo Palamara ha rivelato una baratteria di cariche tra correnti che un autorevole commentatore ha definito «un verminaio», e un ex superprocuratore antimafia «mercato delle vacche». In effetti, dopo quelle rivelazioni, alcuni suoi membri erano stati indotti alle dimissioni, e il Csm si avviava all’epilogo della sinfonia degli addii di Haydn, dove gli orchestrali se ne vanno uno alla volta finché il primo violino spegne l’ultima candela. Poi lo stesso Csm ha radiato Palamara sperando che tutto finisse lì. Ma così non sarà, perché al processo contro l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, dovranno sfilare come testi decine di suoi ex colleghi, e, come lo stesso Palamara ha detto, potrebbe esser un bagno di sangue. Dal canto suo l’Anm pare stia mettendo sotto accusa una settantina di iscritti, che rischiano l’espulsione per le frequentazioni con Palamara e la violazione del codice deontologico. In ogni caso la credibilità e il prestigio del Csm, come ha detto commosso il vicepresidente Ermini nel suo saluto a Mattarella, «sono stati colpiti in profondità». 

È ovviamente un verecondo eufemismo. Perché a questo punto il cittadino, esausto e scoraggiato, si domanderà dove siano finite la certezza e la dignità del diritto. Ieri, durante la solenne cerimonia, la maggior disfunzione della nostra giustizia è stata individuata più o meno da tutti nella lunghezza dei processi. Una patologia peraltro assai antica, visto che Amleto annoverava, tra i dardi dell’oltraggiosa fortuna, anche “the law’s delay”, il ritardo della legge. Oggi assistiamo a qualcosa di molto peggio: è il “the law’s decay”, il decadimento del nostro intero sistema giuridico. Il povero principe di Danimarca esitava a darsi la morte per paura dell’oltretomba. Noi invece abbiamo già un Paese che, dalla culla del diritto, ne è diventato la bara. 

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