L’aumento delle tensioni in Kosovo è quotidiano, appare difficilmente contenibile. Ed il segnale che la situazione sta precipitando ci arriva addirittura dalla Russia. Ma perché è così importante, per la stabilità geo-strategica dell’Europa (e dunque della nostra vicinissima Italia), questo esiguo territorio abitato da meno di due milioni di anime? E, soprattutto, qual è il vero motivo per il quale quest’area è diventata terreno di sfida delle maggiori potenze mondiali?
La crisi è scoppiata nella notte tra sabato e domenica scorsi, quando un gruppo di 30 paramilitari serbi armati fino ai denti ha teso un’imboscata alla polizia kosovara in una strada a Banjska, nel Nord del Kosovo, uccidendo un poliziotto e ferendone altri due. Questa è la conseguenza del fallimento degli accordi tra il Presidente serbo Vucic e quello kosovaro Kurti avvenuto il 14 settembre scorso (all’interno del Processo di normalizzazione dei rapporti tra i due Stati, avviato anni fa) dovuto da una parte all’ostinazione della Serbia di non voler riconoscere il Kosovo come Stato autoproclamatosi indipendente nel 2008, dall’altra alla caparbietà del Governo di Pristina di non istituire l’Associazione delle municipalità serbe nella parte settentrionale del Paese che permetterebbe maggiore indipendenza a tale comunità.
Lunedì il Ministro della difesa italiano, Guido Crosetto, ha lanciato un appello: «Tutte le parti e le nazioni in campo, serbi e kosovari, militari e civili, devono impegnarsi per bloccare ogni focolaio di tensione nell’area (…) Come dimostrato dall’operato della missione Kfor nell’intero 2023, una presenza militare credibile è comunque necessaria (…) Ed è necessario uno sforzo corale da parte di tutti i Paesi in quanto si tratta di un quadrante strategico (…) Continuiamo a lavorare per il dialogo e la pacifica convivenza tra le due comunità, un compito di certo non facile e delicato, ma per noi imprescindibile».
Lunedì era intervenuto anche il Ministro degli Esteri Tajani: «L’Italia è protagonista di pace nei Balcani. Ho parlato con il presidente Vucic e con il Primo Ministro Kurti. Ho chiesto ad entrambi di favorire il dialogo tra le parti. D’accordo con il ministro Crosetto lavoriamo per rafforzare la presenza di KFOR al confine tra Serbia e Kosovo e prevenire ulteriori scontri».
Queste dichiarazioni sono emblematiche delle forti preoccupazioni all’interno della comunità internazionale, tanto da far intervenire pure Mosca. Sì, ma perché?
I serbi della regione, da sempre, hanno avuto un legame speciale - culturale, religioso, economico - con la Russia che considerano la loro “protettrice”. Il Cremlino aspettava solo lo spunto per intervenire nella vicenda e fomentare Belgrado contro l’Occidente e minacciare uno spostamento del conflitto nel cuore dell’Europa per deviare l’attenzione da una guerra contro l’Ucraina che si sta dimostrando per il momento senza vie d’uscita.
I primi segnali sono arrivati lunedì dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, secondo la quale l’esplosione di violenza in Kosovo è “la diretta e immediata conseguenza” della volontà del Primo Ministro Kurti di «provocare un conflitto ed eliminare i serbi dal territorio della regione«. Kurti – ha aggiunto la portavoce - cerca di fare pressione sulla Serbia per costringerla a riconoscere l’indipendenza del Kosovo in un «costante gioco con il fuoco che, come vediamo, porta l’intera regione dei Balcani su un baratro pericoloso». E sempre lunedì è intervenuto anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, dichiarando che la Russia ritiene come la situazione nel Kosovo sia “estremamente difficile e potenzialmente pericolosa”.
La crisi in Kosovo risente certamente dell’incertezza geopolitica innescata dalla guerra in Ucraina, al punto che da alcuni viene presentata come un incombente conflitto per procura, concomitante alla guerra in Ucraina, con i serbi incitati da Mosca e gli albanesi-kosovari sostenuti dalla Nato. Scenario alimentato, anche dagli stessi leader di Kosovo e Serbia: non a caso, se Kurti ha accusato Vučić di essere nient’altro che “un piccolo Putin” e la Serbia poco più che una pedina nelle mani del Cremlino, più recentemente il Presidente serbo ha accusato il premier kosovaro “di sognare nuove guerre e di essere Zelensky”.
Cosa fare a questo punto, già pericoloso? Innanzitutto, da una parte l’Unione Europea e gli Stati Uniti non dovrebbero raccogliere le provocazioni di Mosca e battere con decisione la via diplomatica, dall’altra Vucic e Curti avere la lungimiranza, come leader di due Stati che hanno chiesto di entrare nel consesso europeo, di spegnere il fuoco invece di continuare ad aizzarlo. Il rischio, continuando così, è che possano esserci frizioni ancora più pericolose tra le potenze mondiali.
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