La rivoluzione (al femminile) della Treccani

di Generoso Picone
Lunedì 12 Settembre 2022, 22:45 - Ultimo agg. 23:55
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Architetta e non più soltanto architetto, ingegnera accanto a ingegnere, notaia e quindi notaio, medica e poi medico, chirurga e chirurgo, soldata e soldato. 

Ma anche ricamatore per il maschile di ricamatrice, stiratore per stiratrice, casalingo per casalinga. E’ una piccola grande rivoluzione del linguaggio quella che si riflette nelle 1300 pagine dell’edizione 2022 de “Il Vocabolario Treccani”, tre volumi scanditi tra “Parole da leggere”, “Parole da scoprire” e “Parole da vedere” (il tutto a 590 euro, il solo “Dizionario dell’Italiano Treccani” ne costerà 200), il manifesto che dichiara il ribaltamento della visione androcentrica della lingua, l’equiparazione decisiva della declinazione al maschile con quella al femminile, lo smantellamento dello stereotipo che imponeva la priorità di un genere sull’altro. Scompare l’indicazione antica di prerogativa dell’uomo – per dire: bontà, qualità dell’uomo – per fare posto alla definizione di essere umano e persona. 

Nell’articolazione in lemmi dell’imponente opera, per altro, l’algoritmo fa prevalere il rigido ordine alfabetico per cui il termine avvocata, ad esempio, precede l’altro di avvocato e così a seguire. Una rivoluzione, appunto. Che si regge sull’esaltazione di un principio essenziale e semplice: i tempi cambiano.

«Sono già cambiati. – spiega Valeria Della Valle, linguista, accademica della Crusca e con il collega Giuseppe Patota alla direzione scientifica del progetto – Tanto da imporre la presa d’atto, la società è cambiata e l’impostazione rigidamente maschile in uso da secoli non è più proponibile». Ma se questa impostazione proviene da decenni di studi sul campo, dalle riflessioni avviate da Tullio De Mauro e proseguire da Luca Serianni, se cioè ne “Il Vocabolario Treccani” la lingua si forma nell’ibridismo prodotto dalle pressioni costanti del cosiddetto diasistema – l’insieme dei fatti prodotti dall’ evoluzione sociale -, qui occorre segnalare un ulteriore sforzo di ammodernamento dell’impianto.

Perché l’impresa consegna spazio alle parole emerse nel lungo momento che si attraversa e il lessico è aggiornato con i neologismi Covid-19 – un malaugurato esordio -, didattica a distanza, lavoro agile, distanziamento sociale, lockdown, infodemia, reddito di cittadinanza, rider, termoscanner, terrapiattismo, transfobia, revenge porn e rider: però la qualità e l’entità dell’aggiornamento vanno a misurarsi soprattutto sul terreno della capacità d’inclusione sociale nel parlato.

«L’obiettivo della scrittura inclusiva consiste nel restituire la presenza femminile all’interno della lingua non solo per garantire la rappresentanza di genere, ma per modificare in modo concreto le rappresentazioni e le pratiche sociali», spiegava la filosofa Barbara Carnevali in un saggio compreso all’interno del numero monografico di “Micromega”, uscito giusto un anno fa.

Dove non a caso Rita Librandi, ordinaria di Linguistica Italiana e di Storia della lingua italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli e anche lei componente dell’Accademia della Crusca, poneva la domanda di fondo relativa a che cosa servissero i vocabolari: «Al linguista e al lessicografo spetta, pertanto, il compito di osservare ciò che accade nell’uso e nelle varietà di una lingua, registrando le novità ma non cancellando il passato, che va, al contrario, spiegato e tenuto vivo nella memoria, proprio per evitare di ripeterne gli errori.

Spetterà poi agli educatori insegnare a consultare i dizionari in modo corretto e con maggiore frequenza, anche per imparare a riconoscere e quindi evitare l’uso di alcune espressioni discriminatorie, favorendo, come tutti speriamo, una comunicazione autentica e priva di pregiudizi». «Il fatto è – aggiunge Della Valle – i vocabolari si sono copiati l’un l’altro a partire dal Cinquecento, proponendo per miopia e inerzia le antiche terminologie. Quando io e Patota licenziammo l’edizione del 2018 ci accorgemmo che occorreva rinnovare. Oggi abbiamo provato a compiere un’operazione faticosa nella stessa impostazione. L’ordine alfabetico rimuove la sequenza maschile-femminile non per seguire una sorta di cavalleria lessicografica ma per rispettare una più comoda disposizione alfabetica».

Un’opzione di convenienza neutrale che mostra in filigrana i tratti del politicamente corretto? «No, restituisce soltanto alle parole verità e realtà negate per secoli. – spiega Valeria Della Valle – Non c’è alcun cedimento alla cancel culture. Anzi, nel vocabolario compaiono epiteti offensivi, anche nei confronti delle donne, che abbiamo lasciato: fanno parte della lingua quotidiana e letteraria e li citiamo avvertendo che si tratta di offese».
In ogni caso, femminile e poi maschile, senza un posto allo Schwa, il genere aperto e fluido? «Abbiamo voluto evitare i cedimenti alla linguistica talebana per recuperare un margine di equilibrio. Questo non è un vocabolario normativo, che impone cioè l’uso dei termini. Siamo consapevoli che non mancheranno le polemiche, per l’assenza degli asterischi o per un primo fastidio nell’usare parole come avvocata e chirurga, termini ostili soltanto perché poco impiegati. Ma crediamo che indietro non si possa tornare a che a tutti toccherà adeguarsi».

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