La secessione camuffata della Padania

di Isaia Sales
Venerdì 20 Ottobre 2017, 23:37
5 Minuti di Lettura
Quando in una nazione formalmente unita (ma con altissime differenziazioni economiche al suo interno) alcuni territori chiedono l’azzeramento del «residuo fiscale», che cioè le tasse restino a disposizione di chi le genera, la nazione non esiste più. Se ciò avvenisse, si romperebbe il principio di pari diritti costituzionali che debbono essere garantiti ad ogni cittadino al di là del reddito di cui dispone e del luogo in cui vive. È il sistema fiscale nazionale che consente di avere uno standard minimo di servizi anche a territori svantaggiati.

Quei territori che non potrebbero permetterselo con le sole risorse che producono e ai cittadini che non hanno un reddito sufficiente: ad esempio, permettere di studiare anche a chi non ne ha i mezzi, di curarsi anche a chi non ha i soldi sufficienti, di viaggiare anche se si abita alle estremità del Paese o in una periferia di una città. Se non viene consentita questa «redistribuzione equilibratrice», l’Italia cessa di essere una nazione. 

Il referendum di domani, indetto dalle regioni Lombardia e Veneto, aizza la contrapposizione frontale tra territori e segnala una volontà di «secessione dolce» del nostro Paese: disinteresse dei più ricchi, anzi indifferenza e ostilità per le ragioni e le necessità di quelli che già oggi non hanno a sufficienza servizi e opportunità, e che da un accoglimento di tali istanze (molto al di là di quanto previsto dal quesito sulla scheda) starebbero ancora peggio. Perciò quello di domani è il referendum dell’egoismo territoriale. Si sta giocando con il fuoco, e tutti i giochi spregiudicati che si fanno sulle contrapposizioni territoriali finiscono (al di là delle intenzioni) come in Catalogna e in altre parti d’Europa. 

Alberto Negri ricorda spesso quello che è successo a pochi passi dalle nostre frontiere: «Si comincia quasi sempre con l’economia: la Jugoslavia iniziò a disgregarsi quando le repubbliche più ricche non volevano pagare per quelle più povere». E per di più senza avere alle spalle almeno delle ragioni storiche. La Padania, infatti, non è mai esistita nella storia. È un’invenzione politica prodotta artificialmente per sostenere istanze inizialmente separatiste, che poi si sono camuffate da autonomismo, per finire in questo ridicola sceneggiata della Lega di Matteo Salvini di voler trasformare in forza nazionale un partito politico che mantiene però la sua ragion d’essere nel rancore e nella contrapposizione territoriale. Se si è contro il Sud d’Italia, non ci si può presentare come partito nazionale. E ciò riguarda sicuramente la Lega e i suoi seguaci di altri partiti. 

Ma c’è una questione che riguarda anche il Pd: come si può conciliare l’aspirazione a diventare il «partito della nazione» e accettare le posizioni a sostegno del referendum di diversi suoi rappresentanti? Perché mai il Pd nazionale non prende le distanze da questo referendum «istigativo» di conseguenze non prevedibili? 
A pensarci bene, anche la posizione di Luigi Di Maio e dei Cinque Stelle è davvero incomprensibile: hanno sostenuto in tutte e due le regioni la consultazione (in Lombardia lo hanno fatto perché si vota con i tablet, come se le modalità di votazione fossero più qualificanti del quesito in sé) e nella Liguria di Grillo hanno proposto un altro referendum sull’autonomia. I Cinque Stelle perdono una bella occasione di presentarsi come forza nazionale. Ed è proprio l’assenza di partiti nazionali, cioè di forze politiche attente a rappresentare la nazione intera prima che i suoi diversi territori, che sta rafforzando la posizione «sudista», una specie di partito unico che difende il Mezzogiorno così com’è, compresi i suoi evidenti difetti e problemi, come risposta orgogliosa all’inaccettabile argomento che i mali dell’Italia si sono prodotti solo dalle sue sponde meridionali.

Ma nel dibattito in corso provocato dai referendum di domenica non si fa riferimento ad un altro «residuo» che rispetto a quello fiscale è estremamente favorevole al Nord. Si tratta del cosiddetto «residuo economico» relativo agli effetti di interdipendenza che si creano tra le due parti del Paese in rapporto ai consumi e agli investimenti. Si prenda lo studio di qualche tempo fa di Prometeia (in collaborazione con Intesa San Paolo) in cui l’economia del Mezzogiorno viene valutata in rapporto alla creazione di ricchezza nazionale. Lo studio rivela che per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Mezzogiorno si verifica un «effetto di ritorno» a beneficio delle imprese centro-settentrionali pari a 40,9 euro. Effetto diverso, invece, per gli investimenti realizzati nel Centro-Nord: in questo caso per ogni 100 euro solo 4 euro e sette centesimi vanno a beneficio di imprese meridionali.

Insomma, come si fa a trascurare l’interdipendenza virtuosa che si crea tra Nord e Sud sugli investimenti e sui consumi? Solo persone in mala fede o mediocri conoscitori dei reali meccanismi di funzionamento dell’economia italiana possono trascurare questi dati. Si ritiene che il residuo fiscale deve essere radicalmente rivisto? Bene, ma allora andrebbe ridefinito anche l’altro meccanismo redistributivo degli effetti reali degli investimenti. Il referendum di domenica prossima è, insomma, dannoso per entrambe le parti d’Italia. 

Infatti, nel caso di una ridiscussione del residuo fiscale a favore del Nord, gli effetti sarebbero gravissimi. Nel Sud si dovrebbe fare ricorso a un aumento delle tasse locali per garantire gli stessi (insoddisfacenti) servizi, e questa scelta potrebbe provocare una rivolta civile. Nel Nord l’abbassarsi dei consumi e degli investimenti nell’altra parte del Paese (a seguito della riduzione dei trasferimenti) provocherebbe un calo della produzione e, quindi, un danno economico per le imprese interessate. Un’altra strada ci sarebbe: aumentare la ricchezza nazionale di modo che ci possano essere maggiori entrate fiscali complessive per accontentare le esigenze del Nord senza svantaggiare il Sud. Ma per ottenere questo risultato bisognerebbe investire nella parte economicamente più arretrata, in quanto solo questa scelta comporterebbe un aumento della ricchezza generale del Paese. Le altre vie portano solo guai. O alla secessione o alla rivolta civile nel Sud. O, peggio ancora, al reciproco rancore e alla tenace incomprensione delle altrui ragioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA