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La terapia del silenzio per i partiti del «bla, bla»

di Mario Ajello
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 12 Febbraio 2021, 23:30 - Ultimo agg. : 13 Febbraio, 08:01
4 Minuti di Lettura

Si lamentano che faccia tutto da solo. E invece verrebbe da dire: evviva. Si sentono defraudati i partiti, anche se non hanno il coraggio di dirlo troppo esplicitamente perché non godono affatto di popolarità, del proprio protagonismo e scippati da parte di Draghi.

Che guida e guiderà con redini invisibili, e senza farsi condizionare troppo, la cosa pubblica. Ma non c’è alcuna anomalia, anzi l’anomalia c’era prima, nella maniera in cui il premier incaricato ha gestito la formazione del governo, senza sottoporsi alle pressioni e alle rivendicazioni delle forze politiche. Draghi autonomo e irraggiungibile? Sì, perché la Costituzione italiana, in purezza e non nella consuetudine affermatasi lungo i decenni, dice all’articolo 92 che il presidente del Consiglio incaricato propone i ministri e il presidente della Repubblica li nomina. E poi, sempre come prevede la Carta, il Parlamento ascolta il presidente del Consiglio e vota - oppure no - la fiducia. Punto. Ed è costituzionalismo questo, non autismo o sfida ai partiti. 

Il metodo Draghi cambia tutto. Segna una rivoluzione copernicana. E agisce come uno choc sul sistema estenuato dei partiti che sembrano spaesati, imbambolati e magari pronti al rancore - se gli è rimasta almeno la forza di reazione ma al momenti non parrebbe - di fronte a questo cambio di paradigma repentino e sconvolgente. Per loro ma non per i cittadini. E c’è voluta un’emergenza per ristabilire la correttezza costituzionale liberandola dalle incrostazioni e dalle manipolazioni. Nella speranza che il ritorno alla Statuto, perché di questo si tratta, spinga i partiti a ripensare se stessi e riconsiderare la differenza, che si è andata smarrita nella nel corso del tempo e dell’occupazione sistematica delle leve del comando, tra la politica e la gestione del potere. La sfida di Draghi, che ha nella Costituzione la chiave del futuro ma anche lo scudo per difendere la propria azione, può essere salutare - se non viene vissuta come schiaffo perché uno schiaffo non è - anzitutto per le forze politiche. Chiamate a non attardarsi nel gioco classico, ma inadatto alla situazione italiana odierna, del voler rimarcare una propria influenza che hanno perduto.

Sintonizzarsi sul metodo Draghi è dunque un’occasione per risintonizzarsi, in prospettiva, con la coscienza nazionale che con la crisi sanitaria e le necessità di rinascita economica è radicalmente cambiate. E non pare più disposta tollerare il bla bla, le inefficienze e la contesa improduttiva tra interessi personali, particolari e di bottega che il sistema politica ha offerto fino ad ora. Saranno capaci il Pd, che è la compagnia più disastrata, e tutti gli altri a raccogliere, per migliorarsi, il metodo Draghi? Questo è tutto da vedere. Ma soltanto la miopia e l’incapacità di leggere la realtà in cui vive il Paese può indurre i partiti a continuare sulla strada della perdita di rappresentanza ossia del suicidio. 

C’è un discorso molto indicativo - anno 2017, quando gli venne dato il Premio Cavour - in cui a un certo punto Draghi spiega che il grande statista piemontese contro gli «energumeni del linguaggio da comizio opponeva parole che esaltavano la necessità della preparazione e della buona amministrazione come essenziali per ottenere i risultati voluti». E ancora: su queste basi - incalza Draghi - «Cavour riuscì a realizzare le riforme del sistema economico e dello Stato, quelle che oggi chiameremmo le riforme strutturali». Che sono quelle che ci chiede adesso l’Europa, connesse al Recovery Fund, e che sono prima ancora nell’interesse dei cittadini italiani.

Stimare con esattezza quanto sia necessario l’appoggio dei partiti, conducendo l’interlocuzione necessaria, ma mantenere nell’essenziale la guida dell’iniziativa politica. Ecco il metodo Draghi che conviene a tutti. Ovvero non il che ti serve ma il rovesciamento del discorso: che cosa voi potere fare per il governo, ossia per portare l’Italia fuori dal tunnel? La condotta di Draghi in questi giorni su questo cambio di paradigma si è fondata. E la sua comunicazione fatta di silenzi, tanto criticata dal mainstream giornalistico abituato agli spifferi e ai gossip, rientra in questa rivoluzione. Che fa di nuovo, come si usava un tempo, della riservatezza l’ingrediente dell’autorità e della credibilità e del metodo scientifico e cartesiano - in questo è evidente la formazione Banca d’Italia nell’agire di Draghi - nel quale non trova posto la comunicazione «energumena» e nemmeno quella politichese. Dice tutto una scenetta dell’altro giorno. Una giornalista riesce ad avvicinarsi a Draghi e gli dice: «Lei è pronto a fare il capo del governo?». Risponde la moglie di Draghi: «Lui non è un politico, è un economista».

E Draghi alla consorte: «Stai zitta». 

Ecco, c’è un valore pedagogico e terapeutico, per la salute del Paese, del silenzio. E anche questo fa parte della maniera nuova in cui si sta cercando di impostare il rapporto con i partiti e con il Paese. Più fatti (all’insegna del «conoscere per deliberare», come diceva Luigi Einaudi a sua volta Banca d’Italia e in quel caso anche Quirinale) e meno tweet. Più politiche e meno politica. In uno sforzo, ormai non più procrastinabile, di alzare il rango della Presidenza del Consiglio e di liberarsi dalle catene arrugginite di partiti che in tanto parlare non hanno più niente da dire e soltanto all’ombra di Draghi - che ha un gradimento superiore al 60 per cento secondo i sondaggi - possono forse emanciparsi, e ci vuole tempo, generosità e lungimiranza, dal discredito in cui si sono infilati. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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