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Le «crepe» di Francia e Germania

di Tommaso Frosini
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 31 Marzo 2023, 23:45 - Ultimo agg. : 1 Aprile, 07:00
3 Minuti di Lettura

Il virus della ingovernabilità sta infettando le grandi democrazie europee. In Francia, il presidente Macron è in difficoltà, perché non riesce a tenere e contenere la protesta sociale; nella Germania del post Merkel, il sistema immunitario istituzionale è messo a dura prova. In Italia, invece, la governabilità sta prevalendo, anche se occorreranno alcune riforme costituzionali per stabilizzare il sistema.

Quanto sta succedendo in Francia dipende dalla politica e le sue decisioni socio-economiche, che creano scontento e ribellione; la vicenda tedesca, invece, è caratterizzata dalle istituzioni.

Queste stanno perdendo il loro vigore parlamentare, anche per la mancanza di una forte leadership. Non a caso per la prima volta la Germania è stata costretta a un governo con tre partiti invece che due. Da qui l’esigenza di intervenire con alcune riforme, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari del Bundestag, la sola Camera della rappresentanza politica. 

Questa riforma sembrerebbe essere copiata dall’Italia. Sarebbe una notizia, visto che di solito avviene il contrario, come nel caso della (pasticciata) riforma federale del Titolo quinto.

Certo, è vero che lo smagrimento del numero dei parlamentari tedeschi, che si compie attraverso la riduzione, da 299 a 280, dei collegi uninominali, pone fine a una incertezza sulla composizione del Bundestag. Che è dovuta alla legge elettorale, la quale prevede un doppio voto: uno sull’uninominale, e quindi si sceglie il candidato nel collegio; e l’altro sul proporzionale, e quindi destinato ai partiti che devono superare lo sbarramento del 5%. È qui che iniziano i problemi. È possibile che un partito, nei collegi uninominali, ottenga più eletti rispetto al numero che gli spetterebbero in base ai risultati ottenuti col secondo voto: a questo punto a quel partito vengono assegnati dei seggi extra per bilanciare lo squilibrio, in modo da rispecchiare nuovamente i risultati del secondo voto. Il metodo di ricalcolo e redistribuzione dei seggi è estremamente complicato ma consente di superare il limite dei 598 deputati con molta facilità.

Nelle ultime elezioni del 2021, il Bundestag risulta composto da ben 736 deputati, record assoluto della storia parlamentare tedesca. Con ricadute problematiche in termini di funzionalità parlamentare: dalla ordinaria attività legislativa alle mansioni delle diverse commissioni, alla gestione della maggioranza politica. E anche di spazi, al punto che alcuni neoeletti hanno dovuto stabilire i propri uffici in un palazzo vicino al Bundestag, usato negli anni ‘30 dai nazisti per il ministero dell’Interno, e sui cui muri è possibile ancora trovare qualche svastica.

Con la riforma, i deputati del Bundestag saranno 630, e non potranno variare. La riduzione dei parlamentari ha un duplice obbiettivo: quello formale, di semplificare la Camera politica e consentire lo svolgimento più efficiente dei lavori parlamentari; quello sostanziale, di accentuare il bipolarismo e ridimensionare i piccoli partiti con la tagliola del 5% senza recupero. Insomma, una sorta di vaccino per prevenire la ingovernabilità.

La riforma entrerà in vigore a partire dalle elezioni del 2025, se avrà passato il vaglio della Tribunale costituzionale, al quale Cdu-Csu e Linke hanno fatto ricorso invocando la incostituzionalità della legge. Ci potrebbero essere, inoltre, ulteriori modifiche: per esempio l’abbassamento dell’età minima per votare, da portare a 16 anni, o l’allungamento della durata di una legislatura da quattro a cinque anni; altre proposte potrebbero riguardare l’introduzione di quote rosa e addirittura di un limite massimo di mandati parlamentari esplicitamente stabilito. E’ un obiettivo ragionevole, ma potrebbe essere tutt’altro che sufficiente in termini di governabilità: se anche venisse esclusa la Linke ci sarebbe comunque un partito non coalizzabile, l’Afd con parecchi seggi congelati. Difficile quindi ritornare a Governi più omogenei Cdu/Csu con Liberali e Spd-Verdi. Una volta tanto l’Italia sembra essere in condizioni migliori. Guai però ad accontentarsi e a non stabilizzare il nostro vantaggio con riforme.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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