La fragilità dei partiti nella sfida dei sindaci

di Paolo Mainiero
Sabato 11 Giugno 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Il voto è locale, certo, ma come ogni voto si porta dietro aspettative e prospettive. Sono tredici i Comuni in provincia di Napoli che domani eleggeranno sindaco e consiglio comunale ma mai campagna elettorale è stata tanto sotto tono. C’è stata una voluta distrazione dei partiti, segno evidente di una debolezza che si è manifestata sin dalla presentazione delle liste. Di simboli tradizionali, sulle schede, se ne vedono pochi; le coalizioni sono eterogenee, le alleanze spurie. In compenso, abbondano le liste civiche. I leader, locali e nazionali, non si sono esposti se non con occasionali apparizioni; meglio attendere, è il ragionamento, il risultato delle urne e poi mettere il cappello sulla vittoria o fuggire dalla sconfitta.

Le divisioni, i veti, i contrasti e le ambizioni personali, il logorio di vecchi protagonisti, la difficoltà a imporsi delle nuove generazioni, l’esibizionismo di cacicchi locali che giocano a fare i leader e pensano a fare incetta di consensi hanno in molti casi prevalso sulla definizione di perimetri politici che potessero in qualche modo combaciare con quanto, in termini di alleanze, si predica a livello nazionale.

Le elezioni locali, come sempre più frequentemente accade soprattutto nei centri medio-piccoli, hanno amplificato tutti i difetti della politica italiana. Paradigmatico è il caso del centrodestra, un fantasma nello scenario politico napoletano. In nessuno dei sette comuni con oltre 15mila abitanti è presente una coalizione composta dai partiti fondatori (Forza Italia, Fdi, Lega).

Si potrebbe obiettare che anche in città come Parma e Verona il centrodestra va in ordine sparso. L’aggravante, in provincia di Napoli, è però dettata da un’altra circostanza: né la Lega né Forza Italia hanno presentato una loro lista. Passi per i salviniani, che confermano la tendenza a uno scarso radicamento territoriale (puoi anche togliere la parola Nord dal simbolo ma al Sud la Lega è sempre percepita come forza settentrionale), ciò che colpisce è l’assenza di Forza Italia (per anni primo partito in Campania) che segna una crisi di militanza e di leadership. Una crisi che ha finito per trascinare verso il basso l’intera coalizione. Del resto già lo scorso anno, alle comunali di Napoli, si erano manifestate nel centrodestra le prime avvisaglie di un arretramento che nei mesi successivi non si è riusciti a drenare e a trasformare in un progetto di rilancio. A mantenere una presenza è solo Fratelli d’Italia, in coerenza con la crescita costante e continua del partito della Meloni.

Ma se Sparta piange Atene non ride. Pd e M5s, più per convenienza che per convinzione, sono riusciti a comporre un’alleanza solo ad Acerra e Nola. Un po’ poco se si pensa che appena un anno fa l’intesa a sostegno di Gaetano Manfredi a Napoli fu sbandierata come l’inizio di una comune avventura.

Un po’ poco perdipiù in una provincia che, solo per riferirsi ai cinque stelle, esprime leader come il presidente della Camera e il ministro degli Esteri. I quali, giusto per capire che aria tira nel movimento, sono andati entrambi a Portici, Fico per sostenere il candidato dei grillini ma Di Maio per incontrare il sindaco uscente del Pd. Né, in casa Pd, il governatore De Luca si è speso più di tanto per la definizione di un campo largo. Del resto, ed è cronaca di questi giorni, le tensioni esplose tra i democratici dicono molto sullo stato di salute di un partito che a quindici anni dalla nascita ha smarrito i propri principi fondatori. Delle primarie, tanto per dire, da anni ormai si sono perse le tracce. Plastico è il caso di Pozzuoli, la più grande delle città al voto, dove il Pd non ha il simbolo, ma ha due candidati l’uno contro l’altro e dove i consiglieri regionali si sono affrettati a sostenere chi l’uno chi l’altro dei contendenti.

Da lunedì, a urne chiuse, nei partiti, se ne avranno voglia, dovrà essere avviata una seria riflessione al di là delle bandierine che ognuno avrà piazzato, perché la loro fragilità c’è, esiste, ed è una fragilità che da un lato indebolisce la politica e svilisce la partecipazione dei cittadini e dall’altro rafforza le leadership personali e alimenta i populismi. E c’è infine un altro aspetto non secondario. La debolezza dei partiti riduce spesso i consigli comunali o ad organismi vuoti in cui gli eletti sono ridotti a sparring partner che alzano la mano su ordine del cacicco di turno o a contenitori anarchici in cui si gioca con il sindaco come il gatto col topo fino ad attirarlo nella trappola della sfiducia. E invece le assemblee elettive dovrebbero (devono) essere il cuore del confronto costruttivo e della sana dialettica e a questo obiettivo partiti seri dovrebbero concorrere.

Un’ultima considerazione. L’altro giorno è stato sciolto per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale di San Giuseppe Vesuviano, il terzo caso nel 2022 dopo Castellammare e Torre Annunziata. Commissariati per camorra sono anche Villaricca e Marano. Sant’Antimo torna al voto dopo diciotto mesi di commissariamento. Il tema della legalità e della trasparenza e del rischio di connivenze con la criminalità organizzata resta primario e non riguarda solo la classe politica ma anche gli apparati amministrativi degli uffici comunali. La questione è grave e complessa e richiede, perché sia affrontata con efficacia, partiti forti, credibili, organizzati e dotati dei necessari anticorpi per isolare le mele marce e respingere le tentazioni che pure ci sono in un territorio ad alta densità criminale. 

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