Le nuvole sul Vaticano e le risposte del Papa

di Massimo Introvigne
Venerdì 7 Gennaio 2022, 23:30
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«Si credeva che sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio…».

Sono parole di Papa Paolo VI pronunciate il 29 giugno 1972, e riferite alla stagione inaugurata per la Chiesa Cattolica dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Ma sono parole che i più pessimisti potrebbero riferire al pontificato di Papa Francesco, e che forse – a giudicare da alcuni discorsi recenti – lo stesso Pontefice in qualche momento tende a condividere.

Quando Papa Bergoglio fu eletto nel 2013, dopo le clamorose dimissioni di Benedetto XVI, i cardinali del Conclave si auguravano una “giornata di sole” dopo le tempeste dei preti pedofili, dei corvi in Vaticano, delle lotte di tutti contro tutti nella Curia Romana allora presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. I primi mesi di Papa Francesco sembravano andare in questa direzione. Sorrisi al posto di rigidità, aperture alle rivendicazioni di femministe e omosessuali, più pastorale e meno dottrina, più sinodalità e meno accentramento in Vaticano, pugno duro per risolvere i problemi della pedofilia, il pragmatico cardinale Parolin al posto dell’inviso Bertone, e soprattutto la promessa di realizzare rapidamente quello per cui principalmente era stato eletto: la riforma della Curia Romana, tentata per decenni e sempre naufragata.

Si dava per scontato che tutto questo avrebbe creato una forte opposizione al Papa da parte dei più conservatori, e forse il definitivo scisma del mondo tradizionalista. Ma la maggioranza dei cardinali elettori giudicava fallite le aperture di Papa Ratzinger ai tradizionalisti, che si erano presi le sue concessioni, particolarmente in tema di Messa in latino con il vecchio rito, ma non erano davvero rientrati nell’ovile.

Mandiamo la pellicola avanti veloce e arriviamo a questi inizi del 2022. Le nuvole, tempesta e buio di cui parlava Paolo VI sembrano a molti prevalere sulla luce. I sorrisi e i richiami non hanno impedito ai cardinali di continuare a litigare fra loro. Vere o false, le accuse al cardinale Becciu, oggi sotto processo per altre malversazioni – di cui peraltro la peculiare procedura vaticana ha difficoltà a fare emergere le prove –, di avere cospirato per far mandare in prigione in Australia un suo oppositore in Curia, il cardinale Pell, in base ad accuse di molestie sessuali da cui poi è stato assolto, rivelano un clima di veleni che fa pensare al Rinascimento e che è perfino peggiore di quello dei tempi di Benedetto XVI.

Il decentramento sinodale ha portato a fughe a destra – con una parte importante dei vescovi degli Stati Uniti che contestano le aperture del Papa sui temi morali – e a sinistra, con l’episcopato tedesco che chiede la fine del celibato sacerdotale e il sacerdozio per le donne, cui Francesco si è già preventivamente opposto.

La severità in tema di pedofilia – peraltro già presente nelle norme emanate da Benedetto XVI – non ha attenuato la pressione dei media né quella degli studi legali che chiedono risarcimenti astronomici per fatti del passato. Episcopati come quello francese hanno affidato ad esperti esterni indagini che hanno ipotizzato numeri astronomici per gli abusi dei decenni trascorsi, e li hanno presi per buoni cospargendosi il capo di cenere, prima che altri esperti accademici contestassero la metodologia delle indagini e facessero notare che le cifre erano il risultato di semplici congetture. Altri episcopati hanno fatto di peggio, continuando a nascondere e a negare che il problema dei preti pedofili – anche se con cifre minori rispetto a quelle ipotizzate in Francia – comunque esiste, è drammatico, e continua ad assestare colpi gravissimi alla credibilità della Chiesa.

Il cardinale Parolin, diplomatico esperto e astuto, si è però incagliato nelle secche dell’accordo del 2018 con Xi Jinping, il cui testo continua a mantenere segreto ma che molti cattolici cinesi considerano una trappola tesa dal Partito Comunista Cinese in cui il Vaticano è caduto, cedendo il controllo della Chiesa cinese al regime in cambio di promesse che non saranno mai mantenute.

I silenzi di Parolin e dello stesso Pontefice sulle persecuzioni dei credenti in Cina e a Hong Kong sembrano una conseguenza imbarazzante di questo controverso accordo.

Soprattutto, la riforma della Curia non è stata rapida. Ora è annunciata come imminente, ma già si mettono le mani avanti dichiarando che si tratterà di piccoli aggiustamenti, soppressione di dicasteri obsoleti, accorpamento di altri, probabilmente nulla a che vedere con quella riforma radicale che il Conclave si aspettava.

Che cosa succederà nel 2022? Si attende appunto il testo della riforma della Curia, ma ci si preoccupa anche per la salute del Papa ottantacinquenne, che non appare eccellente. Se dovessi riassumere in un’espressione quello che mi attendo dal Papa e dalla Chiesa nel 2022, in continuità con il 2021, direi che mi aspetto una barra rivolta verso il centro.

Con le sue nuove chiusure rispetto alla Messa in latino di rito antico Francesco ha tagliato i ponti con una destra della Chiesa per cui il tema liturgico è essenziale. E ci sono innovazioni reali del suo pontificato – tra cui le aperture alla comunione per i divorziati risposati e una teologia delle religioni che riconosce genuini elementi di verità anche fuori del cattolicesimo e del cristianesimo, accompagnati dalla famosa affermazione per cui non su tutto la Chiesa Cattolica ha sempre ragione – che separano Francesco dalla destra ecclesiale. Considerate le nomine di nuovi cardinali che preparano un Conclave certamente non conservatore, sono destinate a rimanere anche dopo la fine del suo pontificato.

Ma chi si aspettava una barra a sinistra è rimasto deluso. Negli ultimi anni il Papa ha moltiplicato i discorsi contro l’aborto, contro l’ideologia del gender, contro la rinuncia dell’Europa alle sue radici cristiane con toni non troppo dissimili dai suoi predecessori, e ha fatto chiaramente intendere che la fine del celibato per i sacerdoti, salvo rare e locali eccezioni (che anche Benedetto XVI concedeva) e il sacerdozio femminile non sono temi all’ordine del giorno del suo pontificato. Si comincia anche a capire che il potere della Curia Romana non sarà veramente sovvertito. Di qui le lamentele dei progressisti, che si aspettavano ben altro.

Tuttavia, sbaglierebbe chi dimenticasse un fattore fondamentale che contribuisce a spiegare la barra al centro di Papa Francesco: il COVID-19. La pandemia ha portato alla chiusura di molte chiese e alla scoperta – non una sorpresa per i sociologi che ricordavano precedenti crisi – che quando le Messe si sospendono e poi si celebrano di nuovo molti di quelli che si erano abituati a non andarci non tornano più. 

La pandemia ha anche portato a scontri durissimi fra cattolici e anche fra cardinali e vescovi, con casi clamorosi come quello dell’ex nunzio vaticano negli Stati Uniti, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che è emerso come uno dei no vax più estremisti e ha persino accusato i medici di uccidere deliberatamente i contagiati per aumentare le statistiche. Il fatto che Viganò non sia stato per ora sanzionato dal Vaticano rivela debolezze strutturali – e forse altri veleni, considerando che un ex nunzio degli Stati Uniti deve conoscere parecchi dossier delicati – confermate dal fatto che ben pochi vescovi sono riusciti a emergere come punto di riferimento in una crisi dove la voce dei virologi e dei politici è sembrata sovrastare totalmente quella della Chiesa.

Ci sarà una Chiesa dopo il COVID che non sarà uguale a quella prima del COVID, e sarà più debole e fragile. Il Papa lo sa, e sa che nel 2022 dovrà lottare per evitare che la Chiesa sprofondi nei veleni e nei coltelli al suo interno e nell’irrilevanza all’esterno. Non sarà tempo di fughe in avanti, né di ritorni al passato. In questo genere di situazioni, la barra al centro è spesso l’unico modo ragionevole per navigare nella tempesta.
 

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