Le stanche liturgie del sindacato magistrati

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 14 Marzo 2018, 22:39
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Per dirla un po’ liturgicamente: è cosa buona e giusta che i capi delle maggiori Procure della Repubblica provino ad affrontare insieme i problemi, anzitutto di carattere organizzativo, che sorgono in particolare in presenza di nuove disposizioni di legge. 
Quando per esempio il governo è in procinto di fare un decreto sulle intercettazioni, e tu devi fargli presente che è bene si adottino protocolli di sicurezza comuni, o che si trovino opportune soluzioni logistiche, non è inutile un confronto fra le Procure ai fini di una più efficace interlocuzione. Oppure quando ne va delle modifiche (approvate di recente) al potere di avocazione del Procuratore: vuoi che non se ne parli? Ma se a parlarne lo fanno, insieme, Melillo e Pignatone, Greco, Lo Voi e Spataro, l’Associazione Nazionale Magistrati che cosa ci sta a fare? Chi gli rimane da rappresentare? 
Il suo Segretario, Eugenio Albamonte, deve esserselo chiesto, e ha concluso che la cosa all’ANM non poteva che spiacere assai: ne va del suo ruolo. Così ha deciso: facciamo partire il comunicato. Dandone diffusione, l’Anm si è però data la zappa sui piedi, di fatto disvelando pubblicamente tutta l’autoreferenzialità che ormai ne vizia le prese di posizione. L’iniziativa, dice il sindacato dei magistrati, può oggettivamente produrre l’effetto di delegittimare e depotenziare l’Associazione. L’avverbio «oggettivamente» fa salve le migliori intenzioni soggettive dei Procuratori, ma solo quelle. Perché la volta in cui i capi degli uffici di Napoli, Roma, Milano, Palermo, Torino trovano una linea comune da portare all’attenzione del governo e del Parlamento, l’ANM è bella che spiazzata. Di colpo non serve a nulla. Abituata a detenere il monopolio della mediazione con la politica, ora scopre all’improvviso che non è detto affatto che le cose andranno sempre così, per saecula saeculorum. Soprattutto se il grido d’allarme che ha lanciato ieri mostra che è sufficiente lo scambio di vedute fra i capi degli uffici per mandarla sottosopra.
Naturalmente è intervenuto anche il CSM: più per provare a mettere una pezza, però, che per spalleggiare Albamonte. E così è arrivato il secondo comunicato. Questa volta è il Consiglio Superiore della Magistratura a rivendicare giustamente un ruolo di indirizzo e regolamentazione, al contempo esprimendo però «vicinanza agli uffici di Procura». Una puntualizzazione, ma certo non una sconfessione dell’iniziativa dei Procuratori. Se anzi Palazzo dei Marescialli tiene a sottolineare di avere avviato un confronto ad ampio raggio con i capi delle Procure, di nuovo par di capire che l’ANM serve a poco. Almeno sull’insieme dei problemi che oggi sono sul tappeto, sui quali non è l’Associazione ad offrire i luoghi e i termini di un dibattito reale.
Prima di un nodo politico, c’è infatti un nodo pratico, che investe il concreto funzionamento degli uffici giudiziari. Diciamo così: comincia ad affermarsi anche ai vertici degli uffici la volontà di risolvere i problemi senza subire il veto soffocante del sindacato di categoria. Che manda alti lai in nome della propria funzione di rappresentanza ferita, con ciò però lasciando che si insinui il sospetto che, senza quelle vive rimostranze, non saprebbe darsi un’effettiva giustificazione del proprio operato.
L’ANM – si legge sul sito – è l’associazione cui aderisce il 90% circa dei magistrati italiani. Una percentuale che una volta si sarebbe detta bulgara. Così stando le cose, non può certo essere il coordinamento più o meno stabile dei Procuratori a lederne la legittimità, a eroderne il ruolo. La preoccupazione manifestata in questa circostanza sembra cioè francamente sproporzionata. E non basta l’appello a motivazioni di principio rispetto a un impulso mosso da sano spirito pragmatico: abbiamo dei problemi, vi diciamo come vanno le cose nei nostri uffici e facciamo delle proposte. 
Forse, allora, quel numero tanto elevato non dice tutto. A una così intensa sindacalizzazione forse non corrisponde un indice di popolarità altrettanto alto, fra le file stesse dei magistrati. Forse – ma diciamo ancora una volta “forse”, con tutte le cautele del caso – l’iscrizione all’Associazione è più un passaggio obbligato che un’intima adesione: la presa d’atto di come le cose funzionano in magistratura, insomma, più che l’espressione di un sostegno convinto. Se è così, un’altra cosa buona e giusta, nell’interesse generale del Paese ma anche di quello della stessa Magistratura, è una energica riforma di certe sue liturgie.
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