Il doppio bivio davanti alla Lega

di Alessandro Campi
Mercoledì 22 Settembre 2021, 00:00
6 Minuti di Lettura

Ci si chiede cosa stia realmente accadendo nella Lega. Siamo sull’orlo di una drammatica scissione o di semplice e passeggera crisi di nervi? Esiste davvero la spaccatura irrimediabile che molti descrivono tra “governisti” e “movimentisti”, tra il “partito dei governatori” e il “partito di Salvini”? Spesso si drammatizza una situazione per ragioni strumentali: gli avversari politico-giornalistici del Capitano adesso hanno tutto l’interesse a descriverlo allo sbando, isolato e politicamente alle corde. Ma esagerano.

Altrettanto spesso si minimizza per gli stessi motivi: coloro che lo hanno in simpatia non accettano che ne parli come di un politico finito avendo pur sempre il doppio dei voti che Berlusconi, Renzi, Speranza e Calenda hanno tutti insieme. Ma sono troppo indulgenti.
Diciamo – per stare virtuosamente nel mezzo – che la Lega ha in questo momento dei seri problemi, ma con un po’ d’intelligenza politica, facendo le scelte politiche giuste e sapendo che le scelte politiche giuste richiedono coraggio e possono essere dolorose, li potrebbe risolvere.

Il problema più grande della Lega è, peraltro non da oggi, lo stesso che hanno i ragazzi e le ragazze quando crescono d’improvviso, diventando nel fisico uomini e donne maturi, ma restando con la testa degli adolescenti pieni di dubbi e incertezze.

Salvini ha preso la guida del Carroccio nel 2013: l’anno in cui alle politiche veleggiava intorno al 5% scarso. Alle politiche del 2018 aveva già raggiunto il 17%. L’anno dopo, alle europee, superò il 34%. Ad oggi, avendo nel frattempo imboccata una china discendente, oscilla intorno al 20%: pur sempre un gran bel gruzzolo.

All’inizio di questo processo la sua idea era semplicemente quella di federarsi con l’estrema destra europea anti-europea e anti-immigrati. Subito dopo cominciò a pensare che per crescere doveva soprattutto abbandonare le fisime secessioniste e anti-italiane della Lega bossiana e convertirsi in un partito nazionale. Da qui la svolta ideologica sovranista: “prima la Padania” divenne “prima l’Italia”. 

Poi arrivò la stagione del governo giallo-verde. Quello dei giovani contro i vecchi, del nuovo contro l’antico, degli amici del popolo contro gli sfruttatori della povera gente: ruppe la storica coalizione con il centrodestra berlusconiano e si alleò con Di Maio e i grillini per realizzare una rivoluzione politica nel segno della comune giovinezza. Fu il periodo esaltante (esaltante per lui, beninteso) del Salvini capo-poliziotto che riempiva le piazze parlando soltanto di immigrazione e sicurezza, di manette, muri e porti chiusi. Arrivò a spaventare i guardiani della democrazia con la sua richiesta spavalda di “pieni poteri” e tutto finì nel modo che sappiamo su una spiaggia dell’Adriatico.

La pandemia fece il resto, congelando l’intero quadro politico e costringendo il Nostro ad un ruolo da contestatore inascoltato, sino alla caduta traumatica di Conte e alla scelta salviniana di sostenere, nel nome del bene comune, l’esecutivo di unità nazionale guidato da Draghi. Ma in un modo che, strada facendo, si è rivelato alquanto schizofrenico: un po’ dentro e un po’ fuori, ora forza responsabile che pensa alla ripresa economica e alle tasche degli italiani, ora forza d’opposizione che insegue le frange lunatiche anti-vacciniste. 

Siamo andati forse un po’ troppo veloci, ma questa è la storia della Lega salviniana: una crescita elettorale repentina, segno di una grande capacità ad intercettare gli umori profondi dell’elettorato, segno di un indubbio carisma da leader, accompagnata però da continui sbalzi d’umore (prima no all’euro, poi sì all’euro, prima il federalismo, poi il nazionalimsmo, prima no al green pass, poi sì al green pass), da scelte politiche non meditate, da ambiguità irrisolte (davvero il nordismo anti-meridionale è un capitolo chiuso dell’ideologia leghista?), da troppe chiacchiere propagandistiche sui social (dove adesso impazza la Meloni esattamente con lo stesso stile inventato da Salvini), da amicizie internazionali sbagliate o controproducenti.

Contraddizioni, e confusioni, che inevitabilmente si pagano.

E che potrebbero essere risolte facendo appunto un po’ di chiarezza. Salvini dovrebbe infatti aver capito che la mancanza di linearità e l’eccesso di tatticismo possono convenire sul momento, ma sul lungo periodo producono conseguenze negative in termini di credibilità e affidabilità. Insomma, a stare sempre in mezzo al guado si finisce per affogare.

Vuoi essere una forza politica nazionale? Bene, devi farti carico credibilmente dei problemi del Mezzogiorno e selezionare in questa parte d’Italia una classe dirigente che non sia composta solo da riciclati di terza e quarta fila dei vecchi partiti o da qualche cacicco locale in odore d’affarismo. Diversamente, la Lega resterà sempre il “partito del Nord” e da Perugia in giù non ci sarà alcuna ragione per votarla.

Vuoi essere una forza di governo in grado di rappresentare con autorevolezza gli interessi dell’Italia nei consessi internazionali il giorno in cui avrai, come speri, la guida del governo? Bene, non puoi annoverare tra i tuoi militanti, sostenitori e parlamentari quelli che ancora si tatuano Mussolini sull’avambraccio o che vanno in televisione a spiegare che senza l’euro saremmo più ricchi e che le vaccinazioni sono un esperimento clinico criminale. 

Hai scelto, senza che nessuno ti costringesse, di sostenere Draghi? Bene, non puoi fargli il controcanto su ogni questione salvo poi doverlo sempre assecondare nelle sue decisioni. Peraltro non c’è cosa peggiore, anche agli occhi dei propri elettori, di chi fa la voce grossa e poi si rimangia tutto. Altrimenti fai come la Meloni e scegli di stare all’opposizione (ma adesso è troppo tardi).

Nella Lega attualmente ci sono effettivamente dei conflitti interni (ma è così in ogni partito) e più anime che convivono, compresa quella un po’ fanatica, settaria e vagamente complottista, per fortuna minoritaria, che non ha digerito il sostegno parlamentare dato al Banchiere per eccellenza, all’uomo senza patria espressione dei poteri forti.

Il problema è che c’è una sola linea politica possibile, visti i numeri consistenti di questo partito, considerata la sua base elettorale (fatta in prevalenza di imprenditori, partite iva e lavoratori autonomi, insomma gente pragmatica che guarda al soldo e vuole poche chiacchiere) e tenuto conto delle legittime ambizioni di governo dello stesso Salvini. Ed è la linea, per dirla semplicemente, della serietà e della coerenza.

Salvini continua ad oscillare tra protesta e doppio petto, tra pulsioni “legge e ordine” e impulsi anarco-libertari, ma in cuor suo sa benissimo che presto dovrà fare una scelta su alcuni temi dirimenti, a partire ad esempio dalla collocazione che intende dare alla Lega nel contesto politico europeo, che grazie ai buoni uffici di Berlusconi presto potrebbe essere all’interno della grande famiglia del popolarismo. Sarebbe, su questo hanno ragione gli ortodossi del leghismo barricadiero, la fine del populismo sovranista e dell’antieuropeismo ideologico, ma anche l’inizio di una fase nuova: quella che potrebbe portare la Lega a trasformarsi in un moderno partito nazional-conservatore di massa in grado di giocare un ruolo da protagonista all’interno di un sistema politico, come quello italiano, profondamente in crisi ma anche in via di rapida trasformazione. L’alternativa? Ritrovarsi ad essere, senza nemmeno accorgersene, un partitino del 5%.

© RIPRODUZIONE RISERVATA