Letta, Conte e quelli del «patto» devono mantenere la promessa

di Vittorio Del Tufo
Mercoledì 27 Ottobre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 28 Ottobre, 06:00
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Che il Patto per Napoli non fosse il Libro dell’Abracadabra - e nemmeno il bancomat di Pantalone - lo sospettavamo da tempo. Ora ne abbiamo avuto una cordiale conferma dopo il cordiale incontro di martedì tra il premier Draghi e il sindaco Manfredi. 

Massima attenzione da parte del governo al “caso Napoli” e alle drammatiche difficoltà finanziarie della terza città d’Italia ma nessun intervento specifico, almeno finora, per tirar fuori il Comune dal baratro degli oltre tre miliardi di debiti che ci sta spezzando le reni. Soprattutto, nessuna corsia preferenziale e tantomeno una legge ad hoc per Napoli. Insomma ci saranno aiuti e investimenti per aiutare il capoluogo campano, ma solo nel quadro di una “pacchetto” destinato all’intera platea dei Comuni sull’orlo del fallimento, circa quattrocento.

Eppure quando c’era da convincere il recalcitrante Manfredi a scendere in campo e correre per Palazzo San Giacomo il Pd e i Cinquestelle avevano promesso qualcosa di diverso, o ricordiamo male? Abbiamo davanti agli occhi il pressing, gli appelli dei leader, i vertici e i controvertici. Conserviamo un ricordo abbastanza nitido anche dell’intesa raggiunta dai dem e dai pentastellati in un bar di Posillipo per «aprire una nuova pagina per la città». Purché a candidarsi fosse il mite accademico senza bandana. San Gaetano aiutaci tu, poi noi aiuteremo te. Purtroppo il mondo delle promesse (e dei sogni) è una cosa, la realtà un’altra. Il Patto per Napoli è evaporato in fretta, speriamo davvero che non diventi un pacco (come lo definì, ma per mere ragioni di propaganda politica, il rivale di Manfredi nella corsa alla poltrona di sindaco, Catello Maresca). Ma lasciamo perdere la battaglia politica e pensiamo al bene e al futuro della città. Pensiamoci tutti, però, perché Manfredi sarà pure come il “gran genio” della canzone di Battisti ma non gli basterà un cacciavite per fare miracoli. Il sindaco ha già spiegato che gli occorrerebbero 200 milioni per 10 anni per smaltire il debito e liberare la spesa corrente. Occorrono almeno mille assunzioni di personale qualificato per far ripartire i servizi oggi allo stremo. Per adesso, a causa del predissesto e dei vincoli di bilancio, il prof non riesce nemmeno a nominare il capo di gabinetto e il direttore generale di Palazzo San Giacomo. 

Era probabilmente da ingenui immaginare che Draghi, alle prese con la manovra e con la rogna della riforma delle pensioni, accordasse a Napoli un trattamento speciale.

Eppure martedì Manfredi ha consegnato al capo del governo un dossier da ultima spiaggia. Assunzioni bloccate, pianta organica da rifare, un debito monstre che paralizza il Comune: roba da far tremar le vene e i polsi, per dirla con il Poeta, anche al sindaco del “fare” e al suo assessore al bilancio, il veneziano Pier Paolo Baretta, ex sottosegretario all’economia nei governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte, chiamato a Palazzo San Giacomo proprio allo scopo di «creare un corridoio finanziario con Roma».

I leader nazionali e locali di Pd e Cinquestelle, garanti di un patto rimasto finora sulla carta, hanno adesso il preciso dovere di uscire allo scoperto e spiegare cosa intendono fare. Soprattutto, come intendono aiutare l’ex rettore a mettere in sicurezza la città. A cominciare proprio dalla macchina comunale che fa acqua da tutte le parti. Sappiamo tutti - soprattutto lo sanno Letta, Conte, Di Maio, Fico, Provenzano e Boccia - che il sostegno finanziario promesso a Manfredi non era un generica promessa con un gentiluomo, ma un impegno preciso. Qual è la differenza tra un patto vero un patto simbolico? Con il primo si affrontano gli impegni di spesa, si ripianano i debiti, si assumono i dipendenti e si evita alla nave di sbattere sugli scogli; il secondo equivale più o meno a una pacca sulle spalle. Un po’ come dire: «Ti abbiamo dato le chiavi di Napoli, adesso arrangiati». Il problema è che non è solo Manfredi a doversi arrangiare, ma una città che ha visto precipitare, negli ultimi anni, tutti i parametri relativi alla vivibilità, al decoro urbano, all’efficienza dei servizi. Una città nella quale si continua a pagare la tassa rifiuti più salata d’Italia a fronte di un servizio di spazzamento che in alcuni quartieri è semplicemente indecente.

È sicuramente presto per parlare di impegni traditi. Non lo è, invece, per lanciare un’allarme che chiama in causa la responsabilità di tutti, a cominciare dai partiti che compongono la coalizione che ha voluto, fortissimamente voluto, il nome dell’ex rettore Manfredi per il dopo De Magistris. I leader nazionali (e locali) di Pd, M5S e Leu, ma anche i parlamentari napoletani. Tutti, nessuno escluso. Della maggioranza e dell’opposizione, perché (decreto o non decreto, legge o non legge) senza interventi destinati a ridurre la mostruosa massa debitoria che pesa come una zavorra sui conti del Comune non è solo Manfredi ad annaspare, ma la città ad andare a fondo. 

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