Lidia Croce, intellettuale all’ombra di padre e marito

Lidia Croce, intellettuale all’ombra di padre e marito
di Titti Marrone<
Martedì 7 Aprile 2015, 23:15 - Ultimo agg. 23:22
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Nella casa di Lidia Croce si avverte il profumo intenso che viene dal respiro delle pagine di libri. E si rincorrono segnali di congedo di un'epoca, simboleggiata dalla scomparsa a 93 anni della terzogenita del filosofo, nonché ultima a portare il nome «Croce». Accanto al suo letto di morte, a comporre la cornice ideale che ha racchiuso la sua vita conclusa ieri, spiccano due serie di libri.



Le edizioni straniere di Gustaw Herling, lo scrittore polacco morto nel 2000 che è stato suo secondo marito, e i due volumi dell'Estetica di Benedetto Croce, forse l'ultimo lavoro dell'Arte Tipografica di Palazzo Marigliano, costretta a cessare l'attività. Marta Herling, la figlia, spiega che sono stati un dono di Francesco Del Franco, l’editore di Bibliopolis scomparso nei giorni scorsi.



Che sono stati apprezzati da Lidia per la raffinata rilegatura dal dorso verde, come piaceva a don Benedetto, e che lei non ha rinunciato a sfogliarli, nonostante le forze fossero scemate alla vigilia di Pasqua.



Con Lidia Croce finisce una Napoli resa «nobilissima» dalle stimmate dell’alta cultura liberale e laica elaborata in chiave filosofica, poi diventata nutrimento per una cerchia d'intellettuali, letterati, studenti, esponenti di libere professioni e mestieri una volta onorevoli, di amanti dei libri, di disinteressati cultori del bello.



Lei, la figlia di Benedetto Croce e Adele Rossi venuta dopo Elena e Alda e prima di Silvia, quell'epoca la rappresenta in pieno, pur senza avere avuto la fitta produzione saggistica di Elena, la visibilità da ambientalista militante di Silvia o la tutela dell’opera paterna che fu più direttamente di Alda. Lidia Croce rappresenta quell’alta cultura per l’impegno intellettuale profuso nella Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, nella trascrizione del manoscritto autografo dei Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, nella cura e traduzione di opere altrui e soprattutto di padre e marito.



Però è stata tutt'altro che «all’ombra di padre e marito» perché quella tradizione culturale l’ha soprattutto incarnata, ne ha fatto pratica di una vita piena di passioni culturali e di grandi qualità umane. A dirigere le sue prime letture fu del resto il filosofo in persona, impegnato a scegliere, con i consigli di Fausto Nicolini, i libri giusti all’età giusta, e dunque



I tre moschettieri non prima che fossero scoccati i nove anni. Diligente e attenta al Liceo classico Vittorio Emanuele, a un tiro di schioppo dalla casa di Calata Trinità Maggiore, Lidia si laureò in Lettere, tesi in Storia del Cristianesimo con Adolfo Omodeo. Ma oltre gli studi canonici, impareggiabile palestra intellettuale fu per lei l’ambiente familiare. E crescere avendo per casa i maggiori intellettuali dell’epoca contribuì a definire un orizzonte mentale vastissimo e cosmopolita.



Il che non le impedì di coltivare passioni in proprio, come quelle per teatro e cinema, condivise con Silvia, al punto da indurre le sorelle a portarvi anche il padre filosofo, nella speranza di contagiare anche lui. La memoria di Lidia Croce era come un album popolato di personaggi come Ada Gobetti, o ricco di aneddoti come quelli sulle insicurezze di Giorgio Bassani, che si cacciava in tasca versioni differenti dei suoi scritti da sottoporre per consiglio alla lettura competente dell’amica.



Quando poi la famiglia si rifugiò in Villa del Tritone di Sorrento per sfuggire ai bombardamenti, la giovane figlia del filosofo si trovò al centro di un crocevia d’incontri destinati a fare il futuro d’Italia. Lei ricordava con un sorriso malizioso la visita di Togliatti, che si trattenne a lungo a parlarle e le lasciò in dono un'edizione russa delle poesie di Gorkij.



Nel 1949 Lidia Croce sposò lo storico Vittorio De Caprariis, e da quel matrimonio nacque Giulio, nel 1954 si unì allo scrittore Gustaw Herling da cui ebbe Benedetto e Marta. Fu Lidia a tradurre, dall’edizione inglese, Un mondo a parte, il libro sul gulag di Herling. «Per anni sono stato uno che non si ascoltava e con il quale non si parlava: perché raccontavo cose che sembravano strane, inventate, sul comunismo in Urss», avrebbe scritto Herling.



Ma a credergli, e a credere in lui, negli anni più difficili ci fu sempre Lidia, pronta a ospitare gli altri esuli polacchi, lei mente aperta e critica quando anche quelle di molti liberali erano chiuse e con lui ostili. Una delle ultime volte che sono andata a farle visita, stava studiando il polacco.



«Per tenere la testa allenata», disse con un sorriso, ma si capiva che era un suo modo di sentirsi vicino a Gustaw Herling.
Il Comune di Napoli ha reso disponibile la Sala Campanella in piazza del Gesù per la camera ardente e la cerimonia funebre laica di Lidia Croce, che avrà inizio oggi, alle ore 10,30.
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