Non formulerò alcuna ipotesi su motivazioni più o meno confessabili, su fini secondi, su interessi palesi e macchinazioni nascoste. Farò come se niente e nessuno abbia tratto giovamento dalla cosa. Farò come se null’altro ci fosse da sapere se non ciò che sappiamo: che Luca Morisi è finito sotto indagine, e che le indagini sono finite, o stanno per finire, in un nulla di fatto.
Fin qui tutto bene. Se non fosse per quello che è successo tra la prima notizia – Morisi indagato – e la seconda – la probabile archiviazione –. Perché tutto, ma proprio tutto della vita privata di Morisi è stato dato in pasto al pubblico, con particolari che vanno anche oltre, molto oltre, i gusti sessuali o il consumo di stupefacenti, i festini e gli appuntamenti. Particolari pruriginosi, si sarebbe detto una volta, con una parola che nessuno usa più, forse perché nessuno più sente il bisogno di apparire anche solo imbarazzato nel riferire certi dettagli.
In breve, Luca Morisi è stato fatto a pezzi. Direi meglio: fatto a pezzi con il preciso scopo di farlo a pezzi. Ma si dirà, e si è detto: non si tratta forse di quel Luca Morisi che, da social media manager di Matteo Salvini, ha scatenato la Bestia, quella tempestosa macchina di propaganda che non si è fatta alcuno scrupolo verso chicchessia, quando si trattava di perseguire determinati obiettivi politici, si trattasse, che so, di Laura Boldrini, del caso Cucchi o del presunto spacciatore da braccare al citofono?
Sì, si tratta proprio di quel Luca Morisi lì. E però non benché, ma proprio perché si tratta di Luca Morisi, vale tutto quello che ripetiamo, senza tuttavia mai riuscire a rispettare, riguardo alla privacy, alla dignità della persona, al diritto di non venire maciullato dai giornali a prescindere da qualunque addebito giudiziario. Diciamola allora, innanzitutto, in termini di principio: il garantismo è l’idea che ciascun individuo debba godere di un sistema di garanzie fondamentali, non importa se sia innocente o colpevole. La garanzie non sono solo per l’innocente, o il presunto innocente, ma anche per il colpevole. E non sono né un regalo né un privilegio, ma un diritto o un insieme di diritti. Figuriamoci quando, come nel caso di Morisi, si è al di qua di qualunque ragionamento circa eventuali colpevolezze.
Ma la tentazione di impartirgli la lezione, evidentemente, è irresistibile. E perciò pure quelli che avrebbero nelle loro corde una cultura garantista, e si rendono ben conto che con Morisi è stato abbondantemente passato il segno, hanno finito per pensare, e qualche volta per dire, che beh, insomma: così impara.
Ma non è una roba che riguardi solo la politica, qualcun altro dirà. È così che funziona, è una legge del nostro spettacolo quotidiano: se un uomo pubblico, non importa se politico o calciatore, cantante o presentatore, viene trovato con la cocaina addosso, finisce sui giornali: allora i giornalisti azzanneranno la preda e non la molleranno finché non ne hanno spolpato le ossa. Credo sia vero, e questo suggerisce ancora due considerazioni. La prima sui giornali medesimi e sul sistema dei media in generale. Non è che si possa dire sempre che è così che va il mondo. Il problema di come vada bisognerà pur porselo, ogni tanto. È faticoso, a volte suona velleitario, altre volte partorisce solo inutili comitati etici, ma non resta meno necessario tener vivo almeno il problema.
L’altra considerazione è un riadattamento di una nota frase di con Clausewitz: non vorrei che lo spettacolo – e i vari linciaggi mediatici, e i mostruosi blob di intercettazioni, e il perverso circuito mediatico-giudiziario, e i talk show sempre più scandalistici, con personaggi da fiera o con serissime persone ridotte a personaggi da fiera – non vorrei che tutto questo spettacolo abbastanza indecente non fosse altro che la prosecuzione della politica con altri mezzi. Sarebbero, allora, e temo siano, ben tristi mezzi.