Dema, il Pd e il patto ​della minestra riscaldata

di Antonio Mattone
Domenica 16 Febbraio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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Far fallire la città e dare il benservito a Luigi De Magistris, o salvare Napoli e con essa il sindaco che è stato definito il peggiore degli ultimi anni? Il dilemma che è stato posto negli ultimi giorni sulle pagine dei quotidiani cittadini, in effetti rimanda ad un’altra questione. E cioè se con l’emendamento al decreto Milleproroghe che permette (per la terza volta) di coprire il disavanzo comunale con le anticipazioni che vengono dal Governo, si avvierà una effettiva stagione di risanamento dei conti a palazzo San Giacomo, oppure si tratta solo di rinviare una ineluttabile agonia.

In quest’ultimo caso, il conto più salato lo pagherebbero le future generazioni dei napoletani. Spostare l’asticella temporale di qualche anno significherebbe accrescere e rinviare tutte le conseguenze negative del default che ha ben descritto Paolo Mancuso. Lasciare la città di Napoli senza servizi per i cittadini, far crescere il livello di tassazione ai massimi livelli e costringere alla bancarotta le aziende creditrici con la conseguente perdita di occupazione in un territorio già alle presi con problemi di lavoro, sarebbero disastri che ci ritroveremmo tali e quali nel 2021.

Per dirla con le parole di Paola Cortellesi nel film-commedia «Figli», chi verrà dopo di noi ci rinfaccerà di essere quella generazione che «si è mangiata tutto e che può permettersi di fare mutui, divertirsi, andare in vacanza e credere nel futuro».

Ecco il quesito sostanziale, che futuro avrà la nostra città con 2,7 miliardi di debiti sul groppone? Tuttavia, all’orizzonte non si intravedono azioni risanatrici del deficit, e per venire al Partito Democratico, che è stato accusato di essere accondiscendente con De Magistris per alchimie elettorali, la questione essenziale è che nella dirigenza locale democrat non si percepisce un’idea di città, non si capisce quali programmi saranno messi in campo rispetto a temi fondamentali come welfare, trasporti, ambiente, sviluppo urbanistico. Per non parlare delle grandi emergenze che sono le ingerenze della camorra nel tessuto cittadino e la criminalità giovanile che dilaga nelle strade e nelle piazze di Napoli e della sua provincia e di cui si parla solo quando succedono fatti gravi ed eclatanti. Non basta manifestare solidarietà, partecipare a marce e cortei contro la violenza o annettere tra le proprie fila magistrati in pensione, ma bisogna costruire strategie efficaci di contrasto alla malavita ed elaborare progetti capaci di strappare i giovani al fascino del male.

E poi c’è un problema di metodo. Per rilanciare uno sviluppo sostenibile della nostra città c’è bisogno di una squadra coesa e competente. Il fallimento di De Magistris è dovuto anche al fatto di essersi concepito come un uomo solo al comando, con nessuno accanto che abbia potuto distoglierlo quando ha assunto posizioni di rottura contro i governi nazionali o quando si è imbarcato in iniziative folklorìstiche e demagogiche.

Non è possibile tirar fuori dal cilindro magico il nome salvifico del futuro sindaco, magari a pochi giorni dalle elezioni, e quello che sta accadendo con la scelta del candidato governatore della Regione non è certo di buon auspicio.

Il Partito Democratico e il suo giovane segretario dovrebbero ascoltare gli umori della città, senza bacchettare chi pone delle critiche o la pensa in modo diverso. Il patto tra il partito e chi ha voltato le spalle alla politica, come auspicava Sarracino all’indomani della sua nomina alla guida del Pd cittadino, non può funzionare se si tratta di solo di «costruire nuovi protagonismi capaci di restituirli alla nuova centralità del partito», ma occorre dare un‘anima all’azione politica e avere una nuova visione dello sviluppo della città, non di cooptare supportes magari pescando tra rassicuranti uomini di giustizia.

Solo così si potranno convincere i delusi e gli astenuti che si sono allontanati dal partito e dalle urne, e che al ballottaggio del 2016 hanno rappresentato il 36% degli elettori.

L’operazione di imbarcare tutti per cercare di ritornare a quei posti di comando che dal 2011 si sono persi in città non può funzionare. Anche perché a Napoli le sardine non mobilitano quelle masse come in Emilia, i seguaci di De Magistris sono sempre più disillusi e Italia Viva pur non essendo ancora diventato uno yogurt scaduto come prevedeva qualcuno, non ha prodotto quel fermento che molti auspicavano. Insomma, c’è il rischio che si stia preparando la solita minestra riscaldata, e la città di Napoli non se lo può più permettere.
 
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