Malafemmena, o delle pene d’amore

Malafemmena, o delle pene d’amore
di Luciano De Crescenzo
Mercoledì 2 Dicembre 2015, 00:05
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Tra tutte le canzoni napoletane che sono state scritte fino a oggi, credo che «Era de maggio» possa essere considerata una delle più belle e, come ho raccontato più volte, è anche la mia preferita. Non ci crederete, ma nonostante la dolce melodia e la poesia dei suoi versi, io un tempo la odiavo.

Ma il mio non era un odio normale. Insomma, ogni volta che la sentivo intonare era come se ricevessi una mazzata in fronte. Non sto esagerando, provate a mettervi nei miei panni e immaginate un ragazzino di circa dodici anni avvolto tra le coperte in una fredda mattina d’inverno, magari intento a sognare di baciare Giuseppina, la biondina seduta al terzo banco.

Lui è lì lì sul punto di poggiare le sue labbra su quelle di lei, quando all’improvviso una voce proveniente dal nulla lo desta dal suo meraviglioso sonno: «Si ’stu sciore torna a maggio, pure a maggio io stóngo ccà». Questo perché anche a Napoli, nonostante i luoghi comuni, c’è chi si sveglia praticamente all’alba. Non tutti per scelta personale, però, ma per «necessità di mercato».

Io fin da ragazzo ho avuto la fortuna, e la sfortuna, di essere stato svegliato tutte le mattine alle sei in punto, e a volte anche prima, da un maledetto venditore di fiori di nome Gaetano, anzi Ninotto, uno che nella vita avrebbe voluto fare il tenore ma che poi, per colpa di qualcuno che un giorno gli aveva detto: «A Napoli tutti quelli che cantano prima o poi sono condannati a morirsi di fame», aveva deciso di mettersi a vendere i fiori.

Non c’era mattina, infatti, che lui non mi svegliasse con una delle sue canzoni, e purtroppo non con i toni sussurrati alla «Anema e core», ma sempre con quelli esuberanti da «oje vita mia». Ora, io a quei tempi abitavo al primo piano di un palazzo del quartiere Santa Lucia, e quindi tra la mia camera da letto e il carretto ambulante di Ninotto c’erano quattro metri di distanza, pertanto potevo godere appieno di ogni sua performance.

Adagiava i propri fiori sfoggiando una voce da usignolo, dilettandosi in spettacolari acuti quando il verso lo coinvolgeva particolarmente. Fino a non molto tempo fa, anche se so che in alcuni quartieri il rito continua ancora, alcune piazze e vicoli del centro storico erano animati dalle voci dei venditori ambulanti.

Tra arrotini, conciambrelle, rammarielli e fruttaioli si alzavano tanti canti melodiosi con il solo intento di attirare i passanti e le casalinghe del rione ai propri banchi. È tradizione antichissima, in quasi tutta l’Italia meridionale, comunicare a distanza a fronn’’e limone, ovvero con un canto a distesa senza accompagnamento musicale. (...)

Ebbene, fu proprio grazie a questo Ninotto se io mi sono così tanto appassionato alla canzone napoletana, perché crescendo quel canto fastidioso è diventato parte della mia routine mattutina, e un po’ alla volta le canzoni che tanto odiavo si sono fatte interpreti delle mie pene d’amore adolescenziali, e non solo. I versi di «Malafemmena» davano voce al dolore scatenato dalle prime delusioni, e grazie alle note di «Reginella» mi ritornava alla mente la veste scullata della ragazza che in quel periodo faceva spantecare il mio cuore.

Ora che ci penso, io da ragazzo per ben tre volte mi sono innamorato il giorno 18, ma sono state solo fidanzate che mi hanno fatto soffrire, e per la precisione Rita, Annamaria e Mariastella, di cui ovviamente non posso dire i cognomi. Di Rita mi innamorai il 18 marzo 1945, di Annamaria il 18 gennaio 1949 e di Mariastella il 18 dicembre 1951.

Una psicanalista, una volta, mi chiese come avevo fatto a capire con tanta precisione quale fosse la data dell’innamoramento, e io le risposi che ovviamente non dipendeva dal 18, ma dalla giovane età, e dalle canzoni che ascoltavo in quegli anni e che mi hanno fatto innamorare, casualmente, in quel particolare giorno.

Comunque il 18, non solo non esco più di casa, ma non rispondo nemmeno al telefono.
Non si sa mai. Sapete com’è, è vero che sono ingegnere, ma sono anche napoletano, e in quanto tale ho il pallino dei numeri. (...) Ora, se vi fa piacere, vi accompagnerò alla scoperta della mia personale storia della canzone napoletana. E non vi meravigliate se, di tanto in tanto, vi capiterà di inciampare tra i ricordi legati alle donne che mi hanno fatto battere il cuore. E già, non credo sia possibile raccontare la canzone napoletana senza parlare d’amore.
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