Manovra, nemmeno il virus ferma l'assalto

di Carlo Nordio
Venerdì 3 Dicembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 4 Dicembre, 08:00
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San Paolo insegnava che la glossolalia, intesa come mucchio di parole e concetti sconclusionati, esercitava una formidabile attrazione sugli sprovveduti. Questo saggio principio ci è tornato in mente quando abbiamo letto, prima con sconcerto poi con raccapriccio, la stravagante proposta della Commissione Europea di abolire ogni riferimento al Natale, e alle sue implicazioni culturali e religiose. 

L’infelice sortita, sommersa dalle critiche e, peggio ancora, dalle risate è stata poi ridimensionata, anche se la logica avrebbe voluto che l’autrice di una simile “fanfaronnade” si fosse dimessa con tante scuse. E non perché abbia ridotto la Ue a un’orchestra stonata con un direttore sordo che dirige musicisti ciechi. Ma perché, politicamente parlando, ha fatto un enorme regalo ai cosiddetti sovranisti. Se questa infatti dev’essere l’Europa, allora è meglio che non ci sia. 

Se tuttavia Atene piange, Sparta non ride, e il nostro Parlamento in questi giorni sta emulando, sia pure con un’altra musica, la dissonanza europea. Non perché, sempre per citare san Paolo, sia fatto di sprovveduti.

Al contrario, è costituito da gruppi, magari minoritari ma attivi ed occhiuti, che seguono i capricci di un’opinione volubile, assecondandoli per raccattare consensi elettorali.

Cosicché mentre l’Europa, incapace di elaborare una strategia comune sulla pandemia, si balocca con il delirio verbale del politicamente corretto, noi, gravati da un debito pubblico stratosferico che prima o dopo dovremo onorare, assistiamo alle velleità dissipatrici delle nostre scarse risorse espresse dai seimila e passa emendamenti proposti alla legge di bilancio.

È stato detto e ripetuto che in tale occasione si scatena il cosiddetto attacco alla diligenza, ovvero il tentativo di arraffare il tesoretto trasportato dalla “stagecoach” governativa come faceva la banda di Liberty Valance nel film di John Ford. Incurante del principio che quel forziere sarebbe destinato alla collettività con una distribuzione equa e razionale, ciascuno tenta di sottrarne una porzioncella nell’interesse della propria consorteria. 

Ed in effetti, guardando ai particolari, accanto a proposte sensate e comprensibili se ne trovano di curiose: dalla riduzione dell’Iva sulle ostriche a quella sulla pappa reale e i profilattici, fino alle elargizioni più eccentriche. Molti dei nostri politici non hanno ancora capito che sono questi piccoli cabotaggi a screditarli agli occhi degli elettori, e che l’esplosione di consensi per il partito pentastellato, benché guidato da un pittoresco e simpatico giullare, fu anni fa determinato dall’indignazione istintiva degli italiani per i rimborsi di spese voluttuarie ed effimeri.

Leggendo il catalogo di questi 6 mila emendamenti viene da pensare che molti parlamentari, come i Borboni della Restaurazione, non hanno dimenticato niente e non hanno imparato niente. 

Detto questo, resta un problema assai più serio, che se non giustifica questi tentativi, li spiega sotto un profilo quantomeno psicologico: che il Parlamento è così esautorato da provocare un’ansiosa crisi di identità dei suoi frustrati componenti. Non è, ovviamente, colpa di Draghi, che ha raccolto i cocci di un contenitore frantumato. E nemmeno della pandemia, anche se essa ne ha - come nel resto del mondo - ridotto le funzioni. La causa risiede negli incredibili giri di valzer ai quali abbiamo assistito in questa legislatura, dove i ballerini hanno danzato in disordine al suono di un’orchestra sconnessa. Non si era mai visto che un capo del governo (Conte 2) succedesse a se stesso smentendo tutto quello che ha fatto prima (Conte 1), che addirittura tentasse, con elementi raccogliticci, di realizzare una sintesi hegeliana con un Conte 3, e che un Parlamento prendesse sul serio un’ipotesi così inusitata e peregrina. E nemmeno si era visto che, in piena pandemia, avesse confidato in dilettantismi così farlocchi come i banchi a rotelle, i monopattini elettrici e le primule fiorite. Quando la situazione è precipitata, Mattarella e Draghi sono intervenuti con vigore, ed hanno salvato il salvabile. Ma il prezzo, in termini politici e costituzionali, non è stato modesto.

Per mesi, come ha detto la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, «il Senato non ha toccato palla» e con l’avvento di Draghi ha dovuto limitarsi a ratificare decisioni doverose e necessarie, ma adottate altrove. Non c’è dunque da stupirsi se, come estremo tentativo di autoaffermazione, molti componenti alzano ora la voce. Concludo. Tra pochi giorni Draghi dovrà pur risolvere il famoso dilemma di Dante: «Se io vado (al Quirinale) chi resta (a Palazzo Chigi)? E se io resto, chi va?» È una soluzione cui il Parlamento dovrebbe arrivare preparato, e possibilmente concorde. Ma l’arruffato assalto alla diligenza di questi giorni ci fa temere che potrebbe diventare il massacro di Fort Apache. 

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